19 Febbraio 2020

Coronavirus, la lettera di una cittadina cinese discriminata

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Continuano le discriminazioni contro i cittadini cinesi. In Campania e in Italia sono considerati “portatori di coronavirus”

È come se domani, andando all’estero, ci chiamassero “portatori di colera”, considerando che l’epidemia di colera è avvenuta negli anni ’70. Anacronistico, non credete? Qui di seguito il messaggio, scritto su facebook, di una cittadina cinese che non visita la Cina da vent’anni, discriminata per il coronavirus in questi giorni a Caserta.

« Ieri pomeriggio, 18.02.2020, mi sono recata, con l’intenzione di fare shopping, presso un noto negozio di abbigliamento. Esso è ubicato a destra in direzione Caserta, nei pressi del mio ristorante Oishi Sushi in Via Nazionale Appia 226, Curti. Premetto che sono di nazionalità cinese, lavoro e vivo in Italia da circa 20 anni, non vado in Cina da anni e non ho avuto contatti con persone che di recente ci sono state.

Pur non conoscendomi personalmente, il dipendente del negozio di abbigliamento, nel vedermi entrare, si è messo la giacca sul viso ed ha esclamato “è entrato il coronavirus” pensando che io non potessi comprendere ciò che diceva in lingua italiana. Dopo le mie rimostranze su quanto era successo sono andata via, ovviamente senza acquisti.

Razzismo e discriminazione…

Questo episodio mi ha molto ferito, al punto di sentirmi privata della dignità di persona che fa di tutto per integrarsi in questo Paese e sottrarsi ai tanti stereotipi: razzismo, discriminazione e non ultimo quello sul coronavirus. Questo dipendente non sa che privare una persona della sua dignità è più brutale che percuoterla fisicamente, oltre a distruggerne la morale. Poiché non sa tutto ciò, perché sicuramente non ha mai provato tutto questo sulla propria pelle, quindi lo ignora, sono costretta a perdonarlo, diversamente dovrei denunciarlo per quello che mi ha detto pubblicamente alla presenza di altre persone.

Approfitto di questo spiacevole episodio per lasciare un messaggio di monito per riflettere.
Le sue titolari, e con le quali ha contatti tutti i giorni, da tempo frequentato il mio ristorante. Inoltre, la maggior parte dei vestiti che si trovano nel negozio presso cui lavora provengono dalla Cina. Quindi, se ha paura del coronavirus non dovrebbe uscire di casa.

Questa è una normale reazione di una persona adulta, a seguito di un simile episodio.
Diversamente, più grave ed angosciante è quello che stanno affrontando i bambini della nostra comunità, in ogni luogo compreso la scuola. I bambini cinesi stanno portando, con onore, sulle loro spalle il fardello più grande, quello della discriminazione legata a questo momento del coronavirus.

Ciò sarà causa, in questi bambini, di grandi disturbi che porteranno con loro per tutta la vita, assieme ad un risentimento che impedirà una sana integrazione in stile Paese civile che è l’Italia che si vanta di essere un grande popolo e di far parte della Comunità Europea. »

Giulia Curti

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