Detenuto muore in cella a Poggioreale: parla il Garante dei Detenuti
Samuele Ciambriello dichiara: "Era a rischio suicidario da un anno"
DETENUTO MUORE CELLA POGGIOREALE – Un anno fa è stato condannato all’ergastolo per il femminicidio della sua compagna. Un anno dopo viene ritrovato morto nella sua cella nel carcere di Poggioreale. Si tratta di Andrea Napolitano, 40enne che stava scontando la sua pena: l’ergastolo. L’uomo era detenuto per l’omicidio della compagna Ylenia Lombardo, 33enne originaria di San Paolo Belsito, aggredita e bruciata nel suo appartamento.
Andrea era già in cura presso il centro di igiene mentale, ma nella giornata di ieri, 15 gennaio, si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. Dopo le parole Aldo di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria, interviene Samuele Ciambriello, Garante dei Detenuti.
Detenuto muore in cella a Poggioreale: le parole di Ciambriello
“Era a rischio suicidario da un anno, era seguito e monitorato. Chi cura i malati mentali liberi o persone con sofferenza psichica? Il Dipartimento di Salute Mentale”. Così inizia il discorso del garante, il quale evidenzia che lo stato psichico di Napolitano constatava il rischio suicidario già da un anno.
Poi Ciambriello prosegue il discorso con queste parole:
“Bene! Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è formato da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori, oss. Dunque per curare la malattia mentale non occorre solo lo psichiatra, motivo per il quale anche in carcere, per curare i malati mentali occorrono queste figure professionali, dunque una U.O.S.D. (Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale). Così come esiste un SerD Area Penale, che è uguale ad un SerD esterno, deve esistere una Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale in carcere”.
Il carcere come “un posto esterno alla società da dimenticare”
Infine conclude evidenziando come le strutture penitenziarie siano un mondo diviso dall’esterno:
“Sono tante le motivazioni per cui singoli detenuti scelgono di suicidarsi, è chiaro che il coinvolgimento in attività trattamentali interne, più rapporti con il mondo esterno, più personale specializzato, può ridurre sia le forme di autolesionismo sia i tentativi di suicidio che sono centinaia nella nostra Regione. Lo scorso anno non c’è stato appunto una strage per il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria, a cui va la mia gratitudine. Ma ripeto, Andrea pur ben seguito da un anno, visto che era nel protocollo di rischio suicidario, ci costringe a mettere in campo qualche proposta operativa in termini di personale specializzato, attività trattamentali e relazioni con il mondo esterno, perché i suicidi in carcere sono anche il prodotto di un clima culturale, per la maggioranza della politica e anche della società civile, per cui il carcere è un posto esterno alla società, da dimenticare, non da cambiare”.
Fonte: Internapoli.it
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