Covid: i nuovi casi stanno davvero rallentando?
Covid – Gli ultimi dati mostrerebbero una progressiva riduzione dei nuovi positivi ma purtroppo i numeri e le ordinanze ci stanno dicendo altro
Sebbene tutti o quasi, tifiamo per una riduzione progressiva dei casi di covid nel nostro paese, soprattutto in merito ai decessi, bisogna raccontare meglio cosa sta accadendo in questi giorni.
Partiamo dai dati
Covid – Il numero dei positivi è davvero in diminuzione?
Secondo i dati forniti quotidianamente dalla protezione civile, parrebbe proprio di si.
Ciò che non è stato detto o ripetuto però, è che da circa una settimana (almeno in via ufficiale), Lombardia e Piemonte hanno chiesto alle autorità sanitarie di eseguire tamponi solo ai soggetti positivi e sintomatici “I soggetti asintomatici vengono messi in quarantena (attuale 14 giorni) senza l’esecuzione di tampone“.
Questo sta a significare che da una settimana dunque, il Piemonte, non esegue più tamponi di ricerca.
Stesso discorso per la Lombardia
La Lombardia ha anticipato addirittura il Piemonte e dal 5 Novembre ha comunicato a tutti i medici di base che l’esecuzione del tampone ai cosiddetti “contatti stretti” (cioè coloro che hanno avuto interazioni con un paziente risultato positivo al Coronavirus) non è già considerata una priorità e sarà dunque temporaneamente sospesa.
A dare conferma di ciò, è stato già qualche giorno addietro il direttore dell’ATS lombardo Vittorio Demicheli che aveva denunciato la perdita di controllo della tracciatura dei casi.
Ed effettivamente non si sarebbe poi spiegato il motivo per cui l’ordine dei medici aveva fatto richiesta di “chiudere tutto”.
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L’ultimo DPCM targato Conte quindi, non è (ancora) l’artefice della progressiva diminuzione dei contagi di questi giorni, a modificare i numeri c’è anche un nuovo approccio più “stringente” negli ospedali.
Questo è proprio l’esempio ancora del Piemonte dove il personale 118 si occuperà di valutare tutti i pazienti portati nel pronto soccorso.
Non solo: i cittadini che si presentano direttamente in pronto soccorso, senza passare dal 118, “non saranno automaticamente ricoverati”:
ci sarà una attenta valutazione dei sintomi, se la situazione lo permetterà saranno affidati ai medici delle «Usca», le Unità speciali di continuità assistenziale, per essere seguiti a domicilio.
In soldoni, meno ricoveri.
Sia chiaro, secondo due delle tre regioni più colpite (insieme alla Campania), i test rapidi sostituiranno (o dovrebbero sostituire) i classici tamponi molecolari per la ricerca dei positivi.
[La differenza sostanziale è che il test antigenico non ricerca il genoma, ossia l’RNA virale, ma la presenza di proteine di superficie del virus chiamate anche antigeni.]
Questo dovrà dimostrare l’utilità complessiva nella ricerca dei positivi anche perché a differenza del tampone, i test rapidi hanno una percentuale di errore più alta.
Inoltre qualora si dovesse accertare la positività proprio per questo ampio margine di errore, il paziente dovrà comunque sottoporsi al tampone molecolare.
Ma bastano le parole di Gigi Gronvall del Johns Hopkins Center for Health Security, per capire di cosa stiamo parlando:
“Il test avrà una certa percentuale di falsi negativi, indipendentemente da dove viene realizzato.
E c’è anche la possibilità di falsi positivi.
Ci sono vantaggi e svantaggi con tutti i test questi hanno il vantaggio di essere veloci e relativamente facili da usare ed economici, quindi ci sono un sacco di cose positive, ma il lato negativo è che non sono così sensibili come i tamponi.
Svantaggio dei test rapidi è che potrebbe non individuare l’infezione quando è appena insorta, in un momento in cui le persone colpite non sono così contagiose”.
In conclusione, come ci spiega anche il professor Enrico Bucci della Temple University:
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