Marco Riccio:”Ho salvato me stesso e ora salvo gli altri”
Marco è un giovane della periferia napoletana e dopo essere riuscito a tirarsi fuori dal mondo della strada, ha dedicato la sua vita a chi è in difficoltà
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NAPOLI, 13 MAGGIO – Marco Riccio è stato protagonista, qualche settimana fa, su Rai Due, dove ha sbalordito tutti con un monologo crudo e vero allo stesso tempo. Il tema è uno dei più caldi, antichissimo ma recente: le difficoltà dei ragazzi delle periferie di Napoli.
Noi di Napoli.zon abbiamo deciso di indagare più a fondo nel personaggio Marco Riccio e capire realmente chi è per avvicinarci al ‘suo’ mondo e a quello di parecchi adolescenti napoletani, raccontando la sua speranza di un mondo migliore.
L’intervista
Ciao Marco, abbiamo deciso di conoscere un po’ meglio te e la tua storia. Puoi raccontarci brevemente chi sei?
“Mi chiamo Marco Riccio, ho 25 anni e vivo a Barra, un quartiere della periferia di Napoli. Nella vita mi occupo di sociale, sono il vicepresidente della cooperativa sociale onlus il tappeto di iqbal, che da 15 anni opera nel sociale grazie a grandi educatori.”
Come tu già hai spiegato anche in televisione, sei cresciuto in un ambiente non facile; quanto è stato complicato non cedere alla tentazione della ‘cattiva strada’ quando eri più piccolo?
“Guarda, ti dico che non sei tu a scegliere se far parte o no della cattiva strada; spesso ti trovi dentro che manco te ne accorgi: noi lo chiamiamo stile di vita senza opportunità di scelta. Vivere in un quartiere di 45 mila abitanti dove non c’è un cinema, non c’è un teatro, pochi centri di aggregazione e parchi per la maggior parte chiusi o non curati. Il malessere vive in quartiere, oramai è fugato nelle mura; io ci sono caduto purtroppo in questo malessere da adolescente perché è proprio quando sei nell’età adolescenziale che è difficile scegliere, perché quando la sera rientri a casa cerchi di immaginare il tuo futuro, ma vedi che non esiste immaginazione perché non ci sono opportunità e allora la mattina ti svegli incazzato, vai a scuola e vedi che tutti sono indifferenti invece di aiutarti a capire. E questo rende ancora più difficile perché non ci sono punti di sfogo, le famiglie sono cosi prese dalla crisi o perché sono ancora troppo giovani che ai figli purtroppo non riescono a dedicargli tempo e allora i ragazzi si sentono abbandonati, ed è li che scegli qual è la tua strada, il malessere ti aspetta a braccia aperte ti da speranza, ti fa immaginare un futuro, quello che poi ti trasmette la tv, il potere, ed è proprio questo che poi da la botta finale alla scelta, i falsi miti.”
Marco, da quando sei stato ‘salvato’ e ti sei ‘salvato’ dalla strada, o come la chiami tu sottosuolo, cosa è cambiato per te, nella tua vita e come è cambiata la prospettiva del futuro?
“Da quando sono stato salvato, perché ti assicuro che da solo non ti salvi, è cambiato molto: dal modo di guardare il mio quartiere al modo di approcciarmi con le persone del quartiere. Il fatto di risalire dal sottosuolo e vedere che c’è tanta luce, ti aiuta a guardare la strada giusta ed è stata questa, per me, la salvezza. Oggi, insieme a tutta la squadra di iqbal, fatta da giovani del quartiere, camminiamo per le strade e cerchiamo di guardare i veri problemi, con Giovanni invitiamo i genitori, i ragazzi del quartiere che vivono la strada e gli diamo ascolto; quello di cui hanno bisogno è essere ascoltati e cosi cerchiamo di apprendere tutti i loro problemi e cercare insieme le soluzioni, perché per noi non deve esistere l’assistenzialismo, è importante restituire la dignità . Il mio futuro adesso lo guardo con occhi diversi, mi vedo con i capelli brizzolati in mezzo a tanti ragazzi che hanno ancora voglia di riscatto e con una grande squadra di educatori come lo siamo noi oggi, ragazzi che credono in un cambiamento, ragazzi che non stanno a guardare l’orologio quando lavorano perché sanno che due minuti in più possono essere una salvezza per un altro ragazzo del quartiere. Un malessere che esiste da 400 anni non potrà essere cancellato in 10 anni, ma noi sappiamo che ci sono state persone che hanno avviato questo cambiamento anche in altre città e spesso ci hanno lasciato la vita e semplicemente ci siamo legati a loro. Per noi, quelli sono i nostri miti che ogni giorno cerchiamo di trasmettere ai nostri ragazzi.”
Chi è stato Giovanni Savino e chi è oggi per te?
Giovani, per me, è stato un fratello maggiore. Mi ha insegnato i valori della vita. Ricordo che mi diceva sempre – la vita è solo una e l’unico che può scegliere cosa farne sei solo tu, io posso darti una mano ma se tu non allunghi la tua rischi di restare nel sottosuolo – e li capivo che a poco a poco dovevo allungare la mano e ce l’ho fatta. Giovanni è un trascinatore, è una macchina che crea sogni e speranza, è un caricatore di gruppo impressionante, per me è l’impossibile; quando lui entra in campo e lavora non andiamo molto d’accordo perché è cosi forte che anche io ritorno adolescente o mi metto in un angolo a disparte a osservarlo. Lui, a quel punto, mi guarda e mi urla – Marco, vieni a darmi una mano che qua ne so 40 e io sono vecchietto – allora il gruppo sorride, io sorrido e insieme iniziamo a fare i nostri laboratori. Senza di lui non so che fine avrei fatto e ancora oggi senza di lui io sarei perso. Ogni giorno quando finiamo i laboratori, compiliamo una scheda del lavoro che abbiamo svolto e alla fine, quando rileggo, nella mia testa lo ringrazio per tutto quello che mi ha insegnato e continua ad insegnarmi ma il vero ringraziamento che non gli ho mai fatto è quello di avermi fatto rinascere .
Il progetto dei ‘trampoli’ che porti avanti come e quando è nato? Di cosa vi occupate? E’ limitato al tuo quartiere oppure è estendibile anche in altre zone?
“Riguardo i trampoli, non so da dove nasce questa idea. Me li portò un altro grande educatore, Ciro Naturale, che io stimo tanto. Ciro, detto anche Ceppetto, era un educatore del tappeto di iqbal e, con lui, a Barra, mettemmo in scena un monologo chiamato -Pulcinella e la morte-,una grande opera che parlava del male contro il bene, anche se sotto altre forme, parlava del nostro quartiere che non merita tutto questo malessere.
Ci occupiamo di sociale, collaboriamo con molte grandi organizzazioni. Ci occupiamo principalmente di adolescenti e anche bambini, che vanno dai 6 ai 10 anni. Tutti i giorni questi ragazzi raggiungono il plesso scolastico Giulio Rodinò di Barra, dove Save the Children ha aperto un punto
luce e riusciamo a radunare 60, 80 ragazzi al giorno per svolgere attività che vanno dal parkour, al circo, dal calcio, anche femminile, alla break dance, dal trapezio e tessuti alla trampoleria, dalla musica al teatro, fino al rugby .
La nostra metodologia di lavoro difficilmente è estendibile in altre zone; questo non significa che è
impossibile, ma noi abbiamo dedicato la nostra vita; da 4 anni non facciamo vacanze, non festeggiamo il Natale a casa della nostra famiglia, devi essere sempre reperibile e disponibile, cercare di sorridere sempre nonostante le tragedie personali che puoi vivere, diventi un punto fondamentale per questi ragazzi e non ti puoi permettere di fallire o di assentarti una volta che li hai approcciati, loro si fidano di te non devi mai abbandonarli devi renderli felici con poco e ogni giorno cercare di capire come stanno.”
A parere tuo, considerando non solo la tua esperienza, potremmo arrivare un giorno a non fare più la solita domanda scontata su come potranno salvarsi Napoli e le sue periferie? Come può la città di Napoli scrollarsi da dosso tutti i pregiudizi che la perseguitano?
“Si, certo che si può. Basta crederci, basta rispettare ognuno i propri ruoli, basterebbe riuscire a dare speranza a questi ragazzi creando più spazi dove possano incontrarsi, basterebbe fare più rete nel sociale, basterebbe non far vivere i quartieri come sfide di potere, basterebbe che chi ha il potere scenda per strada e viva la città. –Non chiuderti la politica nella stanza ma resta amico dei ragazzi di strada– diceva Majakovskij. Bisogna portare la bellezza dove c’è il brutto, solo cosi si può curare il malessere, cosi la gente potrebbe ricominciare a crederci e a difendere la bellezza. Noi di iqbal abbiamo portato la bellezza dopo 2 anni e ancora nessuno ha toccato o rotto qualcosa; gli spazi vanno vissuti cosi nessuno li distrugge. Napoli è la città più bella del mondo ma anche quella più difficile, negli anni ha trovato un equilibrio, ma tutti i giorni dobbiamo chiederci quel filo fino a quando può resistere. Solo dando spazi ai giovani questa città può scrollarsi da dosso il malessere e trionfare verso la luce per rendersi libera.”
Ringraziamo Marco Riccio per il tempo a noi dedicato augurandogli tutto il bene che la vita potrà offrirgli. Ad maiora!
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