Sequestrati negozi di calzature Diva: chiusi 17 punti vendita
Realizzato un giro di frode da 127 milioni di euro. Chiusi tutti i punti vendita della Campania
Fonte Foto: sito ufficiale centro commerciale "Le Porte di Napoli"
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SEQUESTRATI NEGOZI CALZATURE DIVA – La Guardia di Finanza ha lavorato nell’inchiesta su una presunta frode fiscale da 127 milioni di euro perpetrata tramite un giro di 51 società “cartiere”. Queste sono esistenti solo sulla carta e utilizzate per false fatturazioni.
Tra questi figura la società che gestisce i negozi di calzature “Diva”, la “Asia Srl”, finite sotto indagine. Per questo motivo le Fiamme Gialle hanno disposto la chiusura e il sequestro di tutti i punti vendita “Diva” in Campania. Ne sono 17 in totale, sparsi tra le province di Napoli, Caserta e Aversa. Nel capoluogo i punti vendita sono situati a Fuorigrotta, Soccavo, Centro Storico, Vomero e Colli Aminei.
Sequestrati negozi di calzature Diva: l’operazione delle Fiamme Gialle
Eseguito il decreto di sequestro preventivo martedì scorso, 21 gennaio, dai militari dei Comandi Provinciali di Pisa e Napoli, su delega della Procura, Sezione III, Criminalità Economica.
Come detto, sono state poste a sequestro 51 società presenti sul territorio nazionale, insieme a 54 persone fisiche. Queste sono sottoposte ad indagini preliminari e gravemente indiziate di numerose violazioni finanziarie, tra cui autoriciclaggio. Questo avrebbe portato ad un risparmio di oltre 46 milioni di euro tra il 2019 e il 2021. Il reato si sarebbe protratto fino allo scorso anno per oltre 81 milioni di euro.
L’avvio delle indagini
Le indagini sono iniziate nel 2020 dalla Guardia di Finanza di Pisa. Queste hanno ricostruito un’ associazione a delinquere composta principalmente da soggetti residenti a Napoli e a Caserta. Questi avrebbero creato “società cartiere” per emettere fatture false nei confronti di “società clienti” localizzate in Toscana, Campania, Marche e Veneto.
In questo modo – secondo gli inquirenti – i componenti del gruppo riuscivano a garantirsi una indebita detrazione dell’Iva e la contabilizzazione di un costo indeducibile. In questo modo si otteneva di conseguenza una grossa disponibilità di denaro, sottratto alle casse delle società.
Individuate 34 società che effettuavano i bonifici bancari. La società, una volta ricevuta la falsa fattura, pagava la fornitura inesistente con un bonifico bancario. I soldi venivano quindi spostati tra diversi conti correnti delle numerose aziende del gruppo.
Dalle false fatture ai contanti
Per far tornare il denaro in contanti, i principali indagati facevano confluire le somme con bonifici su conti correnti di istituti di credito situati in Cina. Poi, tramite cittadini cinesi residenti a Napoli, ne rientravano in possesso.
Quando poi le operazioni sono finite nel mirino delle indagini, si è aggiunto un altro passaggio. I bonifici venivano inviate prima a due società estere (Albania e Croazia), e successivamente venivano spostati in Cina.
In una nota del Procuratore Aggiunto Alessandro Milita, si legge quanto segue: “I bonifici erano del tutto svincolati da reali operazioni commerciali ed erano emessi dal sodalizio al fine di svuotare continuamente i conti correnti aziendali, simulare importazioni di merci dalla Cina – del tutto inesistenti – e realizzare la cospicua provvista di denaro contante”.
Fonte: Fanpage.it
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