5 Febbraio 2022

“Neapolis 2125”, il libro di Gennaro Shamano che anticipa il virus e guarda al futuro

Gennaro Shamano

Gennaro Shamano

“Neapolis 2125” è il libro a firma di Gennaro Shamano. Una storia che anticipa con incredibile predizione la pandemia, puntando lo sguardo verso la disumanizzazione – L’INTERVISTA

Gennaro Shamano, pseudonimo di Gennaro Cozzolino, nasce nella periferia di Napoli nel 1978. Dopo molti anni in giro per l’Europa e l’amore vivo per la musica e la lettura, Gennaro decide di dedicarsi pienamento alla scrittura. “Quando ero più giovane scrivevo su molti diari”, racconta lo scrittore autodidatta. Dopo un periodo abbastanza turbolento della sua vita, nel 2019, pubblica con le Edizioni Monte Bove il suo primo libro L’Asfalto sulla pelle per poi pubblicare il secondo – sempre nello stesso anno – “Effetto notte”. “Ho inizato a scrivere seriamente nel 2016, da quel momento non mi sono più fermato. La scrittura è un grande sfogo per me”, questo e tanto altro da raccontare. Gennaro Shamano, dopo il successo dei suoi scritti, nel 2020 pubblica il terzo libro“Neapolis 2125”. Trattasi di un romanzo cyberpunk, ambientato in una Napoli futura, che anticipa con incredibile predizione gli eventi della pandemia di Coronavirus. Tra le tematiche trattate vi è la realtà virtuale, che costringe i protagonisti a vivere il distacco perchè vittime di un’alienazione tecnologica. Un racconto eccezionalmente attuale che fa riflettere, e non poco. A seguire l’intervista allo scrittore.

  • Gennaro, parliamo un po’ di te. Nel tuo libro ho letto che ti definisci “nomade del mondo”,  da dove nasce questa delineazione di te stesso?

“Penso che chi nasce in provincia senta questo desiderio di evadere. Essendo nato nell’area vesuviana, negli anni ’80, ho vissuto in un ambiente dove non c’era nessuno spazio ricreativo per i giovani e quindi per forza maggiore si cerca di evadere, di fuggire, di andare alla ricerca di qualcosa ed io ho iniziato a viaggiare per l’Europa. Ricordo che eravamo un gruppo di adolescenti e, non avendo grandi possibilità economiche, seguivamo il movimento delle occupazioni. Tutto questo peregrinare, col tempo, mi ha reso nomade. Mi sono sentito sempre più cittadino del mondo.”

  • Il tuo libro “Neapolis 2125” è lo specchio di ciò che stiamo vivendo. Come accennato in apertura, un’opera che anticipa gli eventi pandemici, marcando il significativo cambiamento dei rapporti umani in una società che guarda al futuro. Qual è stata la tua fonte di ispirazione nel 2018?

“Iniziai a scrivere “Neapolis 2125” nell’autunno del 2018 e mi stavo appena lasciando alle spalle il mio romanzo autobiografico. In quel periodo cercai di evadere perché, parlando della mia vita personale, mi aveva preso tanto emotivamente e quindi non volevo stare intrappolato nel libro o in quel genere che si chiama letteratura di strada. Avevo questo sogno nel cassetto, ovvero creare un romanzo cyberpunk, e presi spunto da un fumetto che io stesso avevo ideato per una rivista situazionista che si chiamava Società Decadente. Avendo già la storia abbozzata chiamai una mia amica fumettista che mi aiutò a ideare questo fumetto. L’idea fu proprio quella di ricreare questo mondo futurista, privo di umanità, dove il sospetto reciproco era l’unica cosa che si poteva esternare.”

Gennaro Shamano

Gennaro Shamano

  • I due protagonisti del romanzo, Marco e Ivana, per sopravvivere devono fare i conti con un contesto virtuale, che come hai descritto tu “mira a tramutare gli individui in automi senza cervello”. L’epoca odierna è ormai di matrice digitale, credi che il grande impatto dei social stia trasformando i rapporti umani e l’immagine di sé stessi?

“In prima analisi, dunque, i due protagonisti della storia vivono in questo sistema che controlla ogni singolo aspetto della vita degli umani: non esiste contatto fisico e nessuno può uscire di casa. – Spiega lo scrittore Gennaro Shamano – In questo futuro distopico gli appartamenti sono dei monolocali angusti che ospitano solo una persona proprio per evitare dei contatti diretti con altre persone. Ogni individuo, quindi, in questo tipo di realtà asettica non può fare altro che sopravvivere con la realtà virtuale. Nella storia, Marco e Ivana, hanno un animo un po’ ribelle rispetto a quelli della loro generazione e provano a cercare in questa realtà digitale altri individui in linea con i propri pensieri. Ad un certo punto, infatti, i protagonisti entrano in contatto con degli hacker rivoluzionari scatenando una serie di eventi. Non voglio spoilerare troppo, però, tra queste situazioni, c’è anche la camorra perché essendo ambientato a Napoli – seppur in una Napoli futura – purtroppo mi sono immaginato che esistesse ancora.

Per quanto riguarda l’impatto dei social, invece, posso dirti che la società dello spettacolo in cui noi viviamo sta mutando negativamente gli umani. L’essere umano si sente sempre più attratto dall’aspetto materiale della vita e da un ossessivo desiderio di apparire, i famigerati 15 minuti di gloria per intenderci. In questo modo si perde via via, purtroppo, la spiritualità dell’uomo e la propria individualità.”

  • La digitalizzazione tocca principalmente i giovanissimi, che spesso vedono nei social network l’unica arma per emergere o creare addirittura due vite parallele. Credi che le nuove generazioni siano penalizzate per questo?

“Cito una frase ricorrente del libro “Fuori dal web la vita ci attende”. Tutti hanno la possibilità di riscattarsi o di ribellarsi, basta semplicemente seguire la scintilla che conduce alla vita. I giovani di oggi sicuramente sono nati in un’epoca che non offre molto spazio alla vita e hanno, in un certo senso, questo handicap. Non è sempre colpa loro però. A volte si crea questa dualità, la vita reale e la vita virtuale, ma è anche vero che sono nati in un sistema che è già così. Non è un caso che da bambini vengono definiti già digitalizzati. È una strada a senso unico.”

  • Restando sul tema, pensi che i giovani abbiano un bel rapporto con la lettura?

“Non vorrei essere molto critico, ma è ovvio che la letteratura e la scrittura si stiano perdendo. I dati parlano. Il linguaggio si sta impoverendo, quindi tutti quelli che sono nati nell’epoca della digitalizzazione hanno acquisito questo vocabolario povero, fatto di abbreviazioni, traducibile anche con l’ignoranza. Basta guardarsi intorno, l’ignoranza purtroppo galoppa a pieno regime. Tuttavia ci sono delle sacche di resistenza, devo dire. Mi è capitato più di una volta che alcuni giovani mi hanno scritto, chiedendomi dei consigli sulla scrittura o facendomi domande sui miei testi. Questo è molto bello, perché una scintilla resta sempre accesa.

  • Quando il tuo editore, Michele, ti annunciò che in Lombardia erano tutti chiusi in casa per il virus, quale fu il tuo primo pensiero? Ti saresti aspettato questo precipitoso scenario?

“Quando ho scritto il romanzo non mi aspettavo minimamente che potesse concretizzarsi tutto questo, certo essendo un racconto metà distopico e metà cyberpunk ho provato ad concepire uno scenario politico-economico futuro. Non mi aspettavo avvenisse in maniera così celere. Trovarsi dentro a una cosa che hai scritto, come in qusto caso, non è affatto bello. Sono stato molto male, depresso a tal punto che ebbi dei ripensamenti sulla pubblicazione del manoscritto. A un certo punto mi sono trovato – come tutti – a stare sempre in casa e per di più a sentirmi dire parole che mi hanno sempre inorridito. La mia reazione è stata molto negativa, poi grazie anche all’editore ho deciso di andare avanti. Ad oggi le nostre strade si sono divise pacificamente ed io continuo per la mia strada, però c’è un aneddoto che voglio raccontarti. In novembre 2019 proposi questo testo all’editore, ma a lui non piacque perché cyberpunk. Infatti l’editore voleva pubblicare un altro mio libro, poi arrivò il Coronavirus, mi chiamò ricredendosi e decise di pubblicarlo.”

  • Oggi anche un abbraccio costa caro e il distacco diviene un’arma per dribblare la causa. Secondo te, Gennaro, con l’avvento del Covid-19, le persone sono diventate più fredde o credi che – al di là dei cambiamenti – non si siano snaturate (in particolare modo mi riferisco ai più sensibili)?

Viviamo nell’epoca del distanziamento sociale che impone alle persone di stare a distanza, influendo negativamente sull’empatia che di fatto non riusciamo più ad esternare normalmente. Senza empatia non saremmo umani, ma automi. La condivisione, la solidarietà, l’immedesimarsi nell’altro sono i punti cardini della vita. L’empatia è una mia paura, perché più volte ho temuto di perderla a causa di questo periodo. Ci sentiamo chiusi in gabbia e quindi ci incattiviamo, tiriamo il peggio di noi. È bene dire che dietro le regole ci sono le persone che vivono. Certo abbiamo fatto le lotte in passato per la salvaguardia della salute, ma la salute è parte integrante della vita. Quello che abbiamo vissuto sulla pelle in questi anni non ha precedenti sulla storia, non c’è mai stata una quarantena globale e porterà sicuramente a degli strascichi.”

  • Napoli è una città poetica e allo stesso tempo difficile, qual è il tuo legame con Partenope?

“Il legame con la città è profondo e ben radicato. Sì, Napoli è poetica e difficile come hai detto. È stata proprio la sua durezza, la cruda realtà della vita partenopea a renderci robusti e forti. Noi napoletani abbiamo una marcia in più quando girovaghiamo per il mondo perché la nostra città ci insegna l’arte della sopravvivenza. Sono molto grato a Napoli e sono molto contento di esserci ritornato dopo tanti anni di peregrinazione. Ritornando ho trovato la mia pace interiore. Magari quando si è molto giovani si vuol viaggiare e si arriva anche ad odiare il posto dove si nasce, ma dopo, maturando, si comincia ad apprezzare la spiritualità del luogo d’appartenenza. Tutto quello che scrivo, infatti, è ambientato a Napoli.”

  • Attualmente stai lavorando ad un altro libro?

“Mi sto dedicando alla ristampa di “Neapolis 2125” e allo stesso tempo ho deciso di continuare per conto mio, quindi l’autoproduzione. Concluderei dicendoti che quello che voglio fare nella vita è lo scrittore”, conclude Gennaro Shamano.

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