La protesta degli agricoltori in Italia. In Campania cosa chiedono i coltivatori
Dai presidi di Capua e di Santa Maria Capua Vetere l'imprenditore agricolo ci racconta
La protesta degli agricoltori in Italia continua ad allargarsi in tutte le province nazionali.
Il tam tam è riuscito a coinvolgere tanti coltivatori, allevatori, pescatori a cui si sono aggiunti anche i balneari.
Le politiche europee hanno esposto le categorie dei piccoli e medi imprenditori ad una depressione economica consistente. Strozzati dalle banche perché i costi superano le entrate, oggi, tanti agricoltori, che vantano 3 generazioni di competenze nel proprio settore, si vedono pignorati anche i trattori. Avviliti e con la voglia di non far morire un settore che per loro è vita e storia continuano la propria marcia, che speriamo sia trionfale, verso Roma.
Intanto la presidente della Commissione Europea, Ursula von der leyen, 3 giorni fa ha annunciato di ritirare la proposta legislativa sui pesticidi ma in ogni caso la proposta non era andata oltre la Commissione, era ferma in Parlamento europeo. Un contentino che non ha soddisfatto la protesta degli agricoltori che intanto continua a crescere.
La protesta degli agricoltori in Italia si allarga, cosa chiedono i coltivatori?
Le notizie sulle aspettative e le problematiche che circolano sui media sono tante. Ma cosa chiedono gli agricoltori?
Abbiamo, così, rivolto alcune domande a Gaetano Bellofatto dell’azienda agricola Fatto di Natura di Capua, agricoltore attivo e componente dei presidi campani precisamente dei presidi nel casertano.
Quali sono le principali richieste degli agricoltori?
Calmierare il costo del gasolio necessario per le attrezzature da lavoro. Per esempio un trattore che zappa la terra consuma 15 litri di gasolio all’ora, considerando che il gasolio allo stato attuale costa 1,10 euro al litro (contro i 60/70 centesimi al litro, prezzo di non molto tempo fa), noi agricoltori spendiamo in una giornata di lavoro almeno 200 euro soltanto per il gasolio, oltre ai vari costi (aumentati) per il concime e per i fitofarmaci. Quando nominiamo i fitofarmaci non intendiamo esclusivamente il “veleno” poiché ci sono tanti fitofarmaci di origine biologica oppure con un effetto molto blando. Per puntualizzare, i cosiddetti “veleni”, con le molecole pesanti, nell’agricoltura, in Italia, non esistono più da almeno una quindicina d’anni. Nell’ultimo periodo la Commissione europea ha proposto di proibire anche i fitofarmaci con le molecole più leggere ma noi agricoltori abbiamo il forte sospetto che in Italia non si debba più produrre agricoltura, dando spazio all’importazione dei prodotti provenienti dai paesi extracomunitari Africa e Asia. Il nostro timore è che i territori e le campagne italiane vadano nelle mani delle multinazionali.
La protesta degli agricoltori in Italia si allarga, cosa dovrebbe fare il governo italiano
Cosa dovrebbe fare il governo nell’immediato?
Il governo deve intervenire subito sui costi del gasolio, ovvero il prezzo del gasolio usato nell’agricoltura non deve superare i 70 centesimi al litro. Abbassare del 20/30% i prezzi dei concimi e fitofarmaci. Imporre dei consistenti dazi sui prodotti d’importazione extracomunitaria, anche per evitare speculazioni di “furbetti” che spesso dalla Sicilia vendono prodotti provenienti dalla Tunisia dal Marocco e dalla Turchia, a prezzi bassissimi, e la spacciano sui mercati per merce italiana.
La protesta degli agricoltori in Italia – I prezzi
Questo significa che i prezzi dei prodotti nazionali non sono competitivi per il consumatore italiano?
Il consumatore sceglierebbe sicuramente il prodotto italiano se i prezzi fossero più bassi, come ho spiegato prima i costi di produzione sono troppo alti. Allo stato attuale i nostri prezzi non sono concorrenziali con quelli importati e molto spesso siamo costretti a riguardare le nostre quotazioni proprio per poter vendere. Ma così ci stiamo rimettendo il capitale e rischiamo il fallimento. Tutto questo sacrificio non si vede sui mercati. Al consumatore i prezzi arrivano comunque alti, frutto delle speculazioni attuate da multinazionali, dalla grande distribuzione, dalle cooperative etc. e la grande distribuzione. Per quanto mi risulta c’è un ricarico del 100% sul prezzo del prodotto in vendita. Per esempio se un’insalata ci viene pagata 10 centesimi, la grande distribuzione la rivende a 20/25 centesimi e il supermercato la rivende al consumatore finale a 50/70 centesimi; il prezzo di un prodotto dall’agricoltore al consumatore finale lievita in maniera esponenziale. Insomma il margine di guadagno della filiera che s’interpone tra produttore e consumatore è enorme.
Le scelte che danneggiano il nostro settore non sono da attribuire tutte ai nostri governi italiani ma alle decisioni proposte dalla Commissione europea e legiferate in Parlamento europeo. Difatti le stesse problematiche si sono verificate anche negli altri paesi EU che stanno protestando. L’agenda green 2030 sta creando non pochi problemi.
La protesta degli agricoltori in Italia – I cibi sintetici
Qual è la vostra preoccupazione maggiore?
Siamo allertati dalle politiche che inducono a fermare l’uso delle campagne a discapito delle produzioni agricole ma anche degli allevamenti (senza tralasciare in altri ambiti la pesca). Non vorremmo che si allargasse il consumo dei prodotti sintetici e dei prodotti artificiali. Questa cultura alimentare potrebbe far perdere la memoria dell’agricoltura ma anche la reperibilità delle materie prime per la produzione (semi). Ci vogliono 30 anni per non ricordare più come si produce una coltura.
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