In Cina (a causa del virus) aumenta l’inquinamento da combustibili fossili
Cina, nonostante l’annuncio di voler azzerare entro il 2060, le emissioni nette di anidride carbonica, incrementa la costruzione di centrali a carbone
Può sembrare un controsenso, ma la Cina nei primi mesi di quest’anno, complice anche la crisi che ha portato il coronavirus, ha accelerato sulla costruzione di nuove centrali a carbone nonostante l’annuncio di voler raggiungere, entro il 2060, emissioni nette di anidride carbonica pari a zero.
Andiamo per gradi
L’occidente e l’oriente si muovono da sempre su due piani opposti.
E le decisioni paradossalmente si alternano come si alternano i governi che si succedono.
Ne sono un esempio gli ultimi quattro anni dove la politica di Trump era nettamente opposta a quella di Obama.
Il Tycoon infatti quasi facendosi beffe di chi sta lottando contro i cambiamenti climatici, ha deciso di abbandonare gli accordi di Parigi (L’Accordo di Parigi è un accordo tra gli stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, riguardo alla riduzione di emissione di gas serra, e alla finanza, a partire dall’anno 2020).
Tutto questo ovviamente non ha fatto altro che spostare l’attenzione sulle energie fossili nel paese americano, tentativo per fortuna inutile, perché gli Stati Uniti in controtendenza, hanno addirittura ridotto nel 2019, l’elettricità prodotta col carbone, rispetto al 2016, l’anno in cui è stato eletto.
Questo perché le politiche green tutto sommato hanno funzionato.
Ma ha funzionato anche tutto il sistema economico che puntava a penalizzare chi sfrutta ogni genere di combustione fossile, incentivando invece quelle alternative e più “pulite”.
Dunque, stiamo parlando di un meccanismo, un processo già messo in moto e che per fortuna difficilmente tornerà sui vecchi sistemi industriali.
Nello stesso periodo, la Cina ha invertito la rotta, decidendo di convertire tutte le fabbriche e le centrali a combustione fossile entro il 2060 in centrali green.
C’è da dire infatti, che il governo cinese, si sta impegnando molto per avvicinarsi a quest’obiettivo.
Ha costruito un massiccio settore delle energie rinnovabili e spende per l’energia nucleare (decisamente più pulita di quella fossile) di gran lunga più di qualsiasi altro paese.
Questo almeno fino all’arrivo del covid-19.
Perché come già accaduto nel 2008, alla grande crisi Pechino ha risposto con enormi investimenti nell’industria pesante.
L’uso del carbone poi è sceso tra il 2014 e il 2016 ma è ancora salito fino al 2019, anno in cui la costruzione di centrali di carbone è aumentata rapidamente.
Fino ai primi sei mesi del 2020.
Le cause sono molteplici e ovviamente imputate per lo più alla difficoltà di esportazione e vendita di prodotti durante i periodi di forte crisi.
Questo fa si che il paese deve in qualche modo “sostenere” le spese interne puntando solo ed esclusivamente sull’economia interna.
Prodotti economici, più efficienti, di rapida fornitura ma molto più inquinanti.
Yingxia, ricercatrice dell’Istituto per le energie rinnovabili dell’Università di Boston spiega al Financial Times:
“In Cina il carbone è ancora incredibilmente importante dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico e della sicurezza, e i governi locali non credono che sia possibile sbarazzarsene immediatamente.
Non penso che il governo cinese abbia un’idea chiara di come raggiungere zero emissioni nette di Co2 entro il 2060”.
Per fortuna, il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha già confermato che il paese tornerà negli accordi di Parigi, puntando con ancora più fermezza verso un “new green deal”.
Inoltre c’è anche il desiderio di riallacciare i rapporti con la Cina (allentando l’embargo a Huawei) ma chiedendo anche collaborazione con la superpotenza rossa che insieme agli Stati Uniti è il più grande bacino di inquinamento fossile.
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