16 Dicembre 2020

Figlio gay, il padre paga un uomo per spezzargli le mani: “è chirurgo”

foto OHGA

figlio gay CHIRURGO

Paga un uomo per spezzare le mani al figlio gay: “è un chirurgo, roviniamogli la vita”

FIGLIO CHIRURGO E GAY, IL PADRE VUOLE ROVINARGLI LA VITA – Ha pagato un uomo affinché malmenasse e spezzasse le mani al figlio gay, per distruggere la sua professione. Una storia che ha dell’incredibile. A raccontare la ricostruzione dei fatti è il quotidiano LaStampa.

La motivazione a così tanta ferocia è l’orientamento sessuale della vittima: il giovane, infatti, aveva annunciato al padre di essere omossessuale. Il genitore, mandante del pestaggio, ha voluto rovinargli la vita.

La vittima, infatti, è un chirurgo. L’obiettivo era proprio quello di distruggerlo dal punto di vista professionale, non permettendogli di svolgere il suo lavoro. Un pestaggio che, fortunatamente, non è mai avvenuto.

Padre e figlio soni finiti davanti al tribunale di Torino. Grazie ai colleghi de LaStampa è stato possibile ricostruire i fatti. La vicenda è iniziata in Francia quando il figlio chirurgo viene fotografato in compagnia di un attore – finendo su un giornale di gossip.

Il padre era già a conoscenza dell’omosessualità del figlio – rivelata un anno prima – tuttavia non accettava che vivesse il suo orientamento senza nascondersi. Nello stesso anno, il giovane aveva aperto uno studio ed era andato via di casa, dopo aver presentato il compagno alla famiglia.

Ad aprile 2017, il genitore fa una cosa che mai un figlio si aspetterebbe. Paga un uomo per seguire il figlio e per spezzargli le mani. Qualcosa, però, succede. L’uomo pagato si rifiuta di agire e racconta tutto al chirurgo.

«Un giorno esco dallo studio e mi avvicina un tizio. Mi dice che mio padre l’ha pagato per spezzarmi le mani. Mi dice anche che non ha nessuna voglia di farlo, gli sono sembrato un bravo ragazzo e non vuole rovinarmi la vita», dice il giovane a LaStampa.

Il chirurgo, a questo punto, denuncia tutto a maggio 2018.«All’inizio non volevo, avevo paura. Per più di due anni ho vissuto sotto scorta. I miei amici mi venivano a prendere e mi riportavano a casa. Li tenevo costantemente aggiornati sui miei spostamenti», spiega.

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