Benedetta De Biase: “Ai ragazzini che mi offendevano dicevo di giocare con me”
Benedetta De Biase: “Ai ragazzini che mi offendevano dicevo di giocare con me, per vedere cosa sapevano fare”. Storie di empowerment
Napoli vive di meravigliose utopie e di obiettivi quotidiani, per questo Benedetta De Biase – classe 2001 – rappresenta benissimo la sua città, quella in cui è nata e cresciuta con la determinazione di voler fare la calciatrice.
“I miei genitori a Napoli mi hanno trasmesso da sempre la passione per lo sport, in particolare per il calcio. – Dice Benedetta – È una passione nata quando ero bambina, grazie anche ai miei fratelli perché giocavo con loro. È stato proprio giocando con loro che l’ho capito”.
Oggi, 18 maggio, è lei la protagonista della settima puntata di #uNAsolapassione – il format in collaborazione con lo sponsor Aon – nel quale le azzurre raccontano i loro sacrifici, le loro battaglie, i loro interessi e i loro sogni. Storie di empowerment in rosa, anzi in azzurro!
La giovane centrocampista racconta con il sorriso il suo legame con il pallone: “Ho fatto parte di una scuola calcio maschile e da lì è nato il mio percorso con il calcio. Avevo circa 11 anni e appena ho toccato la palla, insieme ai miei compagni, ho capito che la mia strada era quella perché quando non giocavo con loro, poi continuavo a casa. Nel mio futuro vedo un percorso calcistico e pieno di emozioni. Spero che continui a lungo”.
La prospettiva sociale di allora che – in fin dei conti – non è molto lontana da quella attuale ha reso Benedetta De Biase più forte. La giovane azzurra sa benissimo quali sono le difficoltà di un’aspirante calciatrice:
“Inizialmente, da piccola, ricevevo pregiudizi da alcuni compagni di classe, ma io li affrontavo e dicevo: “Giochiamo insieme e vediamo cosa sai fare”. Mi mettevo in competizione e mi piaceva“.
Confronto, determinazione e coraggio: queste le armi della calciatrice del Napoli Femminile:
“Una volta giocato contro, infatti, mi volevano sempre nella loro squadra. Era divertente. Il calcio può lasciare tanti segni. Quando ero bambina giocavo per strada, sempre con i miei fratelli. Ho ancora cicatrici che mi lasciato il campo di cemento, perché nella Sanità – dove abito – non c’era il prato. Ogni volta che ricevevo un fallo, anziché tornare a casa, li sfidavo, volevo continuare a giocare”.
Benedetta De Biase, ora, dei suoi segni sulla pelle ne trae un significato:
“I miei lividi? Adesso, quando li guardo o ne spunta uno nuovo, penso che sono segni di combattimento. Segni per aver lottato con la maglia e ne vado fiera”.
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