Matteo Messina Denaro è morto: si spegne l’ultimo dei Corleonesi
Matteo Messina Denaro è morto. Il superlatitante, ricercato da trent’anni, alleato di Totò Riina e Bernardo Provenzano, si è spento quest’oggi dopo giorni di agonia presso l’ospedale San Salvatore all’Aquila. I medici avevano alzato bandiera bianca: sospesa ogni sorta di attività dopo che il capo dei capi è scivolato in coma irreversibile. Si attende solo che il suo cuore smetta di battere.
Nelle sue ultime ore di vita, il boss non ha avuto nessuno vicino al suo capezzale.
Matteo Messina Denaro è morto: biografia criminale
Matteo Messina Denaro nacque a Castelvetrano il 26 aprile del 1962. Quarto di sei figli, Messina Denaro cominciò giovanissimo la sua carriera nella malavita. Infatti, sostituendo suo padre dalla arrivò a ricoprire un ruolo di capo della cosca di Castelvetrano già dalla guerra di mafia che si tenne nei primi anni ’80. Relativamente a questo periodo, alcuni anni dopo, il collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio lo descriverà come «un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento».
Nei primi mesi del 1992 Messina Denaro prese parte al gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo ma anche e soprattutto per uccidere Giovanni Falcone e l’allora ministro Claudio Martelli. Il piano prevedeva che il gruppo di fuoco eliminasse il giudice Falcone e l’onorevole Martelli con kalashnikov, fucili e revolver; armi che furono procurate dallo stesso capo dei capi. Il piano, tuttavia, subì una variazione per volere dello stesso Riina e, pertanto, il gruppo di fuoco dovette lasciare Roma.
Sempre su ordine di Riina, Messina Denaro partecipò alla faida mafiosa di Alcamo, conclusasi con un centinaio di uccisioni e lupare bianche.
Dopo la cattura di Salvatore Riina, avvenuta il 15 gennaio del 1993, Messina Denaro fu favorevole a continuare la strategia degli attacchi dinamitardi (si ricordano quelli di Milano, Firenze e Roma che provocarono 10 morti e 106 feriti). Tra gli orrori compiuti da Matteo Messina Denaro si ricorda anche la vicenda legata al sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo; quest’ultimo fu rapito per indurre il padre a ritrattare le sue rivelazioni sulla Strage di Capaci. Dopo 779 giorni di prigionia diede ordine di strangolare brutalmente il piccolo Di Matteo e di sciogliere il suo cadavere nell’acido.
Il 1993 è anche l’anno in cui inizia la sua latitanza che durerà fino al 16 gennaio 2023.
L’arresto dell’ultimo ‘capo dei capi’
Come si diceva, la latitanza del superboss durò fino al 16 gennaio 2023, quando Matteo Messina Denaro fu arrestato dai Carabinieri del ROS con la collaborazione del GIS. Il capo dei capi si trovava in una clinica di Palermo – La Maddalena – dove stava effettuando delle sedute di chemioterapia. Raggiunto dagli uomini dell’Arma, non ha opposto alcuna resistenza e ha confermato la propria identità. Subito dopo l’arresto venne trasferito nella casa circondariale dell’Aquila. La scelta ricadde su quest’ultima perché provvista di una sala di medicina oncologica.
Gli ultimi giorni
Negli ultimi giorni le condizioni di Matteo Messina Denaro erano diventate disperate; l’ex superlatitante, infatti, era affetto da una forma aggressiva di tumore al colon che aveva raggiunto il quarto stadio che lo ha portato a scivolare in un coma irreversibile. Ragion per cui i medici hanno sospeso l‘alimentazione (come disposto da lui nel testamento biologico).
Nelle ultime ore aveva espresso anche le sue volontà in un pizzino, rifiutando categoricamente il funerale in chiesa. “Dio sarà la mia giustizia, il mio perdono, la mia spiritualità. Chi come oggi osa cacciare e ritenere indegna la mia persona non sa che non avrà mai la possibilità di farlo perché io non lo consento, non ne darò la possibilità“.
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