Salvate il soldato Uomo – Come la quarantena ci ha resi più cattivi
“Salvate il soldato Uomo” è una riflessione di Davide Avolio sugli effetti sociali della quarantena. Un invito a rimanere umani
“Salvate il soldato Uomo” ossia come conservare il proprio status di “uomo” di fronte a questa emergenza, dove ognuno di noi si sente in dovere di essere un po’ “soldato”.
Riprendo dal titolo del famosissimo film di Steven Spielberg, per partire da un problema di non secondaria importanza in questi giorni. La conservazione della qualità di Uomo. Trapassando questi tempi in cui uscire fuori senza mascherina significa essere additato come un viscido untore, cercherò di arrivare al nocciolo della questione, ossia: perché tutti giochiamo a fare le sentinelle? Perché ci sentiamo in dovere di essere soldati?
La guerra esiste ed è palese, ma è contro il virus che deve essere portata, con le indicazioni che i media ogni giorno vomitano come una massa alluvionale su tutto il paese. E fanno bene. La guerra non deve esistere fra di noi, non bisogna cercare come speleologi le profondità di qualche misfatto, né appostarsi dai balconi come cecchini alla ricerca del colpevole, di quel qualcuno da linciare pubblicamente, magari riprendendolo col cellulare per poi postarlo sul social e dall’alto del proprio pulpito ammirare come la folla inciti a dare fuoco alla catasta di legno virtuale, su cui abbiamo posto quest’eretico digitale ; malfattore la cui unica colpa è stata, magari, quella di portare il cane a fare i propri bisogni.
Cerchiamo ossessivamente l’inciviltà dell’altro per poterla condannare, lo sbaglio, la goccia che faccia traboccare il vaso della nostra pazienza (di certo non colmato dagli sbagli altrui) e di questa maniacale ricerca del colpevole possiamo individuare tre principali motivi.
Il primo fra tutti: la noia
Siamo annoiati, fortemente annoiati. Cerchiamo la novità, ma ingabbiati fra le quattro mura domestiche, molte persone riescono a trovare interesse solamente nell’errore altrui. Perché? Perché può fare notizia, perché postare un video in cui un incivile, approfittando della quarantena, butti l’immondizia qualche metro più distante dal punto di raccolta, suscita l’attenzione di altre persone terribilmente tediate dalla quotidianità di questi giorni. Persone che normalmente non dedicherebbero neanche un istante a determinate informazioni. E dunque ci colleghiamo al secondo motivo.
Il social
Tutti agognano incredibilmente ad una soglia spietata di notorietà sul social network, sia esso Instagram o Facebook, senza che rilevi il modo reale con cui questa notorietà viene raggiunta. Non importa. L’importante è che il numero dei likes cresca a dismisura, che le condivisioni aumentino.
Perché? La risposta è semplice: nonostante anche nei giorni normali, la sete di notorietà sia una delle inflessioni più comuni a cui siamo quasi tutti sottoposti, ad oggi questo fenomeno è ingigantito dal fatto che il cellulare sia l’ultimo baluardo di socialità che c’è rimasto.
Taluni riscoprono importanti ponti di dialogo familiare in questo periodo, talaltri, invece, solamente che l’abisso fra loro e le persone che vivono nello stesso luogo è divenuto così immenso da risultare insopportabile. E il rimedio a questo lugubre scenario di tristezza pare essere solo la gogna dell’altro. E giungiamo all’ultimo, esasperante, motivo.
Lo stress da accumulo, la paura e l’insoddisfazione
Abbiamo tutti paura, siamo tutti spaesati, chi per un motivo e chi per un altro. Siamo stressati dal dovere avere rapporti costretti e dal dover condividere i nostri spazi privati in modo angusto, siamo stressati dalla privazione e assediati dal costante bisogno di spalancare le ali e volare via, anche solo con la fantasia.
Il problema dei periodi bui, di notte senza Luna, è che neanche la fantasia riesce a spiccare il volo. I morti, il dolore dei dati quotidiani da cui siamo costantemente bombardati, ci riporta a terra come un pesante macigno d’angoscia.
E non potendo scaricare più la nostra tensione attraverso normali attività come la palestra, una normale chiacchierata con un amico, una sigaretta o un calice di vino di fronte ad un bel paesaggio, sentiamo l’indicibile richiamo a brutalizzare l’altro. Tutto ciò ci veste dei panni della polizia di “1984” il celebre romanzo di George Orwell, in cui non riusciamo a fidarci più neanche del nostro essere umani.
E allora che si fa?
Salvate il soldato Uomo!
Perché ora più che mai l’Uomo ha bisogno dell’Uomo, e l’essere umano è un giunco ricolmo di sola bruttezza, quando in lui non vi sia solidarietà. Salvate l’Uomo, salvate voi stessi. Cercate il dialogo con l’altro, puntate al compromesso e svuotate il vaso della vostra pazienza in attività che non avevate mai pensato di compiere: come il disegno, come riprendere a suonare il flauto abbandonato dalla scuole medie o come giocare una rilassante partita a scacchi o fare un cruciverba.
Uniti contro un unico nemico, non contro i nostri simili
Impegnate il tempo, cucinate per le persone che amate e trovate pace nella piega del loro sorriso quando assaggiano il prodotto del vostro amore.
Pregate il vostro Dio se ciò vi ristora l’anima, e non lasciate da soli gli infermi, i più deboli, coloro che hanno più paura. Rassicurate il prossimo piuttosto che rimproverarlo dal vostro balcone-trincea. Siamo soldati dell’umanità, non cecchini alla ricerca del minimo movimento errato.
Esiste uno ed un solo nemico: il virus. E la sua esistenza ci mette di fronte ad un incredibile messaggio d’amore: siamo tutti indissolubilmente legati. Prendiamone atto, combattiamo, riprendiamoci la nostra umanità.
Salvate il soldato Uomo!
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