23 Settembre 2020

The social dilemma, il documentario che fa riflettere

the social dilemma

The social dilemma, il documentario Netflix che fa riflettere. I maggiori programmatori social raccontano la loro esperienza

Si chiama “The social dilemma” ed è da settimane nella top ten di Netflix. Definito il “docu-drama” del momento, è un documentario tra realtà e distopia, che fa riflettere moltissimo su quanto i social network siano riusciti a manipolare la vita di tutti noi.

Punto che risalta all’occhio, è sicuramente la presenza nel cast dei maggiori programmatori dell’era digitale. C’è chi ha creato il tasto “mi piace” su Facebook, chi l’ha amministrato direttamente, chi ha gestito Twitter o chi ha creato le e-mail di Google. Ognuno di loro porta avanti un pensiero simile sulla realtà tecnologica che, ormai dall’inizio degli anni duemila, ha contaminato la Generazione Z e non solo.

Il documentario è frammezzato da brevi inserti di film che raccontano perfettamente l’invasività della tecnologia nelle vite reali. In particolare, ci si focalizza su quanto i cellulari condizionino il rapporto genitori-figli, sottolineandone gli aspetti più drammatici. Una scena significativa e fulcro del pensiero, è il momento in cui la madre decide di “sigillare” i telefoni in una scatola di vetro. La figlia minore, appena undicenne, non resistendo alla tentazione, si alza da tavola disperata e la distrugge.

Resta impressa la faccia di Tim Kendall, presidente di Pinterest ed ex “direttore della monetizzazione” di Facebook, quando ammette che lui ai suoi figli ha vietato l’uso dei social nella maniera più assoluta. Ogni genitore dovrebbe guardarlo e farlo guardare ai propri figli.

Come lavorano i social sulla nostra mente?

Una cosa che probabilmente sapranno in molti, è che i social guadagno miliardi e miliardi di euro grazie alle aziende che li utilizzano per le sponsorizzazioni. I social come Instagram, Facebook, Twitter, ecc. vivono grazie alla pubblicità. Fin qui, la cosa non spaventerebbe.

Grazie a The social dilemma, riusciamo a comprendere esattamente come questo meccanismo sia costantemente alimentato da una sola cosa: noi stessi. Ebbene sì, ciò che il documentario si propone di portare alla luce è la quintessenza di tutto il lavoro che Mark Zuckerberg e company hanno creato.

«Se è gratis, allora il prodotto sei tu». I social sono fruibili a tutti e sono gratuiti, perché alle spalle vi è un sistema di algoritmi che studia interessi, hobby, passioni degli utenti. A Facebook non interessa la nostra residenza per spiarci in casa. A loro interessiamo solo come possibili acquirenti di un prodotto che loro sponsorizzano.

Sanno esattamente cosa mostrare e quando mostrarlo. Grazie al nostro continuo utilizzo e grazie agli algoritmi precisi e dettagliati, i produttori mostrano dei contenuti sempre più pertinenti, consapevoli del fatto che gli utenti rimarranno ore a scorrere le proprie bacheche. Più tempo passiamo sui social con contenuti che ci interessano, più siamo possibili acquirenti dei prodotti delle aziende.

Il problema delle fake news

The social dilemma, poi, ricalca un motivo molto sentito che riguarderebbe la diffusione delle fake news. Risulta sempre più probabile che, seguendo la scia dei “video consigliati su YouTube”, alcuni esseri umani possano sentirsi condizionati da “verità non veritiere”.

Il timore che viene mostrato dagli ingegneri della Silicon Valley è che la paura e la disinformazione possano crescere al punto da creare rivolte, o nella peggiore dei casi, una guerra civile. Tutta completamente virtuale.

Per di più, è portata avanti l’idea che molte azioni possano influenzare interi paesi attraverso messaggi escogitati professionalmente per cambiare i nostri comportamenti e le nostre scelte. Anche politiche. Questo fenomeno ha un nome, si tratta di tecnologia persuasiva, utile a modificare il comportamento delle persone. Un esempio? L’invenzione dei tag è mirata. Perché la notifica non ci mostra la foto direttamente e ci costringe al click? Vengono sfruttate, dunque, una serie di vulnerabilità della psicologia umana in un contesto tecnologico basato sulla dipendenza e la manipolazione.

Ma cosa possiamo fare?

Non è possibile, a questo punto, eliminare i social. Danno soldi e da vivere a troppe persone. Un passo indietro può farlo solo l’essere umano, tentando di limitare quanto più possibile l’influenza dei social sulla propria vita.

Cancellare account o magari disattivare notifiche delle applicazioni sono le soluzioni più semplici e immediate per fare passi in avanti. Se l’uomo vuole cambiare, può farlo, creando una società sana che abbatte questo modello di business.

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