Separazione delle carriere approvata al Senato: cosa cambierà
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															Il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Il provvedimento, firmato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha ottenuto 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni.
Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi, la riforma dovrà ora passare attraverso un referendum costituzionale confermativo, previsto tra marzo e aprile 2026.
Separazione delle carriere: cosa prevede la riforma della giustizia
La riforma modifica il Titolo IV della Costituzione e introduce una netta separazione tra la carriera dei giudici e quella dei pubblici ministeri. In tal modo, si impedisce ogni passaggio da una funzione all’altra.
Nascono così due Consigli Superiori della Magistratura distinti – uno per la carriera giudicante e uno per quella requirente – entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica.
Viene inoltre istituita l’Alta Corte disciplinare, un nuovo organo incaricato di gestire i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
Secondo il ministro Nordio, la riforma renderà la giustizia “più imparziale, trasparente ed efficiente”, allineandola ai modelli europei.
Le reazioni politiche: scontro in Aula tra Governo e opposizioni
Durante il voto in Aula, le opposizioni hanno inscenato una protesta contro la separazione delle carriere, esponendo cartelli con la scritta “No ai pieni poteri”.
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha accusato il Governo di “minare l’indipendenza della magistratura” e di “non affrontare i veri problemi del sistema giudiziario, come la lentezza dei processi e il sovraffollamento carcerario”.
Anche il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha parlato di “un disegno più ampio per scardinare la Costituzione”, riferendosi anche agli interventi sulla Corte dei Conti.
Dal fronte del Terzo Polo, Matteo Renzi ha annunciato l’astensione, definendo la riforma “una bandierina politica, visto che la separazione delle carriere esiste già in parte dopo la riforma Cartabia”.
Il sostegno del centrodestra e la dedica a Berlusconi
Toni trionfali, invece, tra i partiti di Governo. La premier Giorgia Meloni ha definito l’approvazione “un traguardo storico per la democrazia italiana”.
Il senatore Pierantonio Zanettin (Forza Italia) ha dedicato la riforma a Silvio Berlusconi, ricordando che la separazione delle carriere era “uno degli obiettivi fondativi del centrodestra”.
Il ministro Nordio ha ringraziato il Parlamento e ha annunciato di essere pronto a “un confronto pubblico con i magistrati” in vista del referendum, ricordando che la riforma “esiste in tutti i Paesi europei”.
Le critiche dei magistrati sulla separazione delle carriere e il rischio di costi maggiori
L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso profonda preoccupazione per la riforma, sostenendo che non renderà la giustizia più rapida né efficiente, ma “moltiplicherà i costi e aumenterà la burocrazia”.
Secondo l’ANM, la creazione di due CSM e di un’Alta Corte disciplinare rischia di triplicare le spese pubbliche e di rendere la magistratura “più vulnerabile alle pressioni politiche”.
Il referendum costituzionale: cosa succede ora
Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, inizieranno i termini per indire il referendum confermativo, che – come previsto per le riforme costituzionali – non richiede un quorum minimo di partecipazione.
Nei prossimi mesi si formeranno i comitati per il “Sì” e per il “No”, dando inizio a una campagna referendaria che si preannuncia tra le più accese degli ultimi anni.
L’esito sarà decisivo per il futuro assetto della giustizia italiana e per l’equilibrio tra poteri dello Stato.
Una riforma simbolo del Governo Meloni
La separazione delle carriere rappresenta uno dei progetti più simbolici del Governo Meloni e di Carlo Nordio. Per i sostenitori è una riforma di civiltà, per gli oppositori un passo pericoloso verso una magistratura meno indipendente.
La parola, ora, passerà ai cittadini italiani, chiamati nel 2026 a decidere se confermare o bocciare una delle più discusse riforme costituzionali degli ultimi decenni.
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