Pompei Pride al grido di “we are everywhere” sabato 30 giugno
Pompei Pride, intervista esclusiva a Daniela Lourdes Falanga Presidente Arcigay Vesuvio Rainbow. Sabato 30 giugno Associazioni, movimenti e collettivi Lgbt muoveranno da Piazza Falcone e Borsellino
Il 30 giugno alle 15,00 da Piazza Falcone e Borsellino muoverà il “Pride” voluto dalle associazioni, movimenti e collettivi LGBT della Campania.
Il Pride di Pompei è tra quelli inseriti all’interno dell’OndaPride nazionale che ha visto già svolgersi altre iniziative a partire da maggio, tra Avellino, Salerno e Caserta e che si concluderà con il Mediterranean Pride of Naples il 14 luglio.
Pompei Pride 2018 sarà un’occasione di confronto e di crescita sui diritti civili che porrà come temi centrali la difesa della laicità nelle istituzioni, il matrimonio egualitario, la difesa delle istanze della comunità lgbt dopo la legge Cirinnà.
Madrina dell’evento Cristina Donadio.
Perché questa data
I cosiddetti moti di Stonewall, chiamati anche nel loro insieme dal movimento gay statunitense rivolta di Stonewall, furono una serie di violenti scontri fra gruppi di omosessuali e la polizia a New York. La prima notte degli scontri fu quella di venerdì 27 giugno 1969 poco dopo l’1:20 di notte, quando la polizia irruppe nel bar chiamato “Stonewall Inn“, un bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village.
Per questo motivo il 28 giugno è stato scelto dal movimento LGBT come data della “giornata mondiale dell’orgoglio LGBT“. Simbolo dei moti di Stonewall è diventata la donna transessuale Sylvia Rivera, che si vuole abbia cominciato la protesta gettando una bottiglia contro un poliziotto: lo slogan principale che animò quelle giornate ”We are everywhere!”, “Noi siamo ovunque!” (fonte WIKIPEDIA).
L’intervista
In occasione del Pride la nostra testata ha intervistato Daniela Lourdes Falanga Presidente Arcigay Vesuvio Rainbow e Responsabile Trans Comitato Provinciale Aricigay Napoli.
Daniela tra i suoi impegni ha curato e cura interventi nelle scuole per il contrasto al bullismo Omosex/transfobico, la formazione della Rete Antidiscriminazioni (Rete READY) in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Raziale della Presidenza del Consiglio e all’Università Federico II di Napoli, Regione Campania e Comune di Napoli.
Daniela, Responsabile Politiche Trans Comitato Prov.le Arcigay Napoli e Presidente Arcigay Vesuvio Rainbow – Torre Ann.ta, oggi. Ma Daniela da dove parte e come arriva a questo?
Daniela era un bambino e poi un giovane ragazzo con un nome che rivendicava un’appartenenza culturale e di genere non confacente alla su dimensione esistenziale e sessuale e si chiamava Raffaele. Abitava gli spazi di Boscoreale e si formava a Torre Annunziata. Era una persona che parlava poco, che agitava poco il corpo, gli occhi, che tratteneva lo sguardo basso per non essere intercettato e umiliato.
La famiglia prima e più di chiunque, la scuola e qualsiasi momento ludico suggerivano atteggiamenti discriminatori, dai più violenti a quelli meno evidenti per gli adolescenti comuni.
Raffaele era il primogenito di un mafioso ma anche la fantasia di una comune bambina che desiderava scegliersi anche solo un gioco e che non poteva farlo. Era nel mondo sbagliato della violenza e della mascolinità proclamata e intimidente del padre e desiderata della madre, e lì doveva garantirsi la sopravvivenza.
Daniela è il prodotto di un dolore tanto violento, è quella forza che ha spezzato i vincoli di mala fedeltà per occuparsi di altri dolori e liberarli, anche attraverso l’affermazione di un Orgoglio che la veste nel suo percorso per affermare la sua identità di genere femminile. Daniela è oggi una donna trans attivista del movimento lgbt.
Diventare uomo non viene contrastato come diventare donna, quali le ragioni?
Le ragioni sono culturali, legate al modo in cui siamo abituati a concepire l’uomo e la donna, contraddistinti nell’impari differenza che relega al potere uno e all’assoggettamento l’altra, alla preminenza maschile su quella femminile e ad una assurda e indiscriminata verità, cioè alla rappresentazione di sé e quindi al modo in cui si viene percepito attraverso lo sguardo dell’altro.
Così mentre un uomo trans acquisisce un’affermazione legata all’essere maschio, la donna trans proietta su di sé tutti gli stereotipi negativi moltiplicati all’infinito legati alla femmina. In più c’è una discriminante assurda, meramente legata ai corpi: gli uomini trans perdono tutti quei fattori fisici che ingiustificatamente inquietano chi osserva e che rimandano ad un trascorso diverso, un trascorso che, invece, dovrebbe raccontare di un grande coraggio, purtroppo negato e violato.
Quali sono gli aspetti culturali, sociali, biologici e personali delle persone transgender?
Prima di parlare di aspetti culturali e sociali, bisogna comprendere le motivazioni che spingono alcune persone a trovare la propria dimensione naturale. Un disagio grave pone qualsiasi persona con disforia di genere in un confronto in cui non ci si riconosce e non si è sempre riconosciuti, perché implica uno sradicamento da qualsiasi tipo di consuetudine, dalla società così come è sempre stata pensata.
Da qui nasce, innanzitutto, il diritto ad essere compresi, ma anche una lunga battaglia verso sé stessi attraverso un iter complicato e lungo.
I corpi, inevitabilmente diversi, si impregnano nelle ragnatele burocratiche e sanitarie che prendono forma negli schematismi secolari e duali di genere, mentre la ragione si adatta ad un corpo in trasformazione che lentamente le somiglia. Un cambiamento che non richiede sempre l’intervento di chirurghi, e si completa quando si trova armonia nello specchio del sé.
Rimane difficile l’inevitabile scontro che ogni persona transgender vive nelle proprie famiglie, a scuola, nella ricerca dell’indipendenza, rispetto al mondo del lavoro e addirittura negli ospedali.
Diventa assurdo trovare un ente di accoglienza che possa aiutare chi è in qualsiasi tipo di difficoltà.
C’è ancora molta strada da fare su questo versante per quella che è la cultura oggi?
Molto si sta facendo, soprattutto nelle scuole. Io incontro dai 1000 ai 4000 ragazzi ogni anno, a volte di più, e gli incontri rimandano a noi grande interesse e partecipazione. Molto è ancora da fare rispetto a norme da modificare, affinché tutte le persone trans possano, prima possibile, essere riconosciute nel genere elettivo. La legge è ferma al 1982 e prevede che le persone trans debbano sterilizzarsi. L’iter è ancora molto lungo e l’attesa diventa un calvario per chiunque ha trovato sé stesso. Per fortuna la giurisprudenza, come spesso accade, ha preceduto un inadempimento costituzionale e molte sentenze, ormai, riconoscono l’identità di genere effettiva di chi lo richiede. Ma questo implica comunque tempi non brevi e tutto viene rimandato alla discrezionalità dei giudici. Gravissimo che non ci sia ancora una legge contro l’omotransfobia. Le persone vengono violate in quanto intercettate come persone omosessuali e trans. Purtroppo troppe sono ancora le violenze subite. Le persone trans, soprattutto le donne, sono quelle che vivono la condizione più drammatica in assoluto.
I transgender vivono situazioni difficili, anche in famiglia, nel momento in cui decidono di far venir fuori la vera identità.
Si, molte famiglie diventano ostili al punto da cacciare i propri figli, anche di violarli fisicamente. Devo dire, però, che molto sta cambiando. Tante sono le famiglie che finalmente accompagnano i loro figli nella necessità di affermarsi, certo con non pochi dubbi. Molti desiderano comprendere e lentamente accogliere il pianto vero e consapevole del parto della vita agognata.
In questo momento incontro persino una madre di settant’anni e sette suoi figli per un percorso di comprensione comune verso sua figlia, purtroppo sempre negata e in carcere.
Il consigliere Regionale De Pascale ha proposto che le Università adottino un secondo libretto per gli studenti transgender che non hanno ancora i documenti confacenti alla propria identità di genere. A che punto è la proposta?
Una direttiva importantissima che si estende a tutti gli enti di formazione e che faremo in modo che tutti rispettino. Si tratta di tutelare la felicità dei cittadini campani. Quindi onore al consigliere De Pascale che ha combattuto non poco per ottenere vittoria, e onore al Professore Paolo Valerio che, prima di tutti, ha fatto in modo che il “percorso alias” fosse consentito agli studenti della Federico II. Gli altri atenei stanno seguendo. Noi faremo in modo che tutti vangano tutelati.
Qual è la situazione sportelli gay/trans in Italia, ed in particolare al Sud?
In ogni capoluogo d’Italia, ormai, esistono sportelli di ascolto per persone LGBT.
A Napoli vi sono diverse associazioni che operano al meglio. Oggi, attraverso internet, le informazioni si ottengono subito. Tantissime associazioni investono nella felicità della comunità intera.
Quanti Consultori sono attrezzati per le persone transgender?
A Napoli esiste un consultorio a bassa soglia, il Sinapsi, gestito dalla Professoressa Anna Lisa Amodeo, sito tra le mura della Federico II, dove peraltro lavoro io, in cui è possibile trovare qualsiasi tipo di assistenza, da quella psicologica a quella legale gratuitamente. Al Policlinico, sotto la direzione del Professore Paolo Valerio (anche direttore del Sinapsi), qualsiasi persona, anche di minore età e accompagnato dai genitori, può trovare assistenza. Tanti psicologi di straordinaria competenza incontrano da anni innumerevoli persone. Il MIT a Bologna e il Consultorio Transgenere a Torre del lago (Lucca) sono di eccellenza.
Spazi di accoglienza si realizzano nelle ASL e nei presidi ospedalieri di vari capoluoghi italiani.
Il 30 giugno si celebrerà il “Pompei Pride” con lo slogan “we are everywhere”, qual è il messaggio?
“Noi siamo ovunque”. Fu uno degli slogan principali che animò le giornate in cui si ebbero i Moti di Stonewall. Correva l’anno 1969, scolpita nella memoria e nell’impegno, a quasi 50 anni di distanza, la data del 28 giugno assume un significato sempre più potente. Lo stesso significato, le stesse istanze, attualizzate, che il Pompei Campania Pride (Pompei PRIDE) porterà in piazza il 30 giugno 2018. Una manifestazione che assume una rilevanza non solo regionale, ma nazionale e internazionale.
A 50 anni di distanza dai Moti si Stonewall ancora il Pride come evento per l’affermazione dei diritti?
Darsi la mano per strada per due persone omosessuali è ancora qualcosa che può scatenare violenza; un bacio è ancora del tutto inconcepibile; le persone trans ancora non hanno la libertà di autodeterminarsi, di poter legittimare i propri corpi e le proprie identità senza interferenze, senza sentirsi proprietà intellettuale d’altri rimanendo, spesso, fuori dalla vita sociale. Il Pride è una forma di ribellione pacifica a quell’idea del mondo conformata, prestabilita e duale che opprime ancora, che relega ancora all’unica possibile autenticità, alla più folle idea che separa la gente tra sani e insani, possibili e impossibili.
Quindi si marcia contro quell’unicità, in pace e ridendo. In pace e nell’unico mondo in cui tutti esistiamo senza più essere esiliati, per proclamare la vera unica autenticità, la pluralità nelle sue espressioni, nelle sue possibili infinite manifestazioni: la libertà.
Quale traguardo si pone il movimento?
Solo il 17 maggio 1990 l’Oms cancellò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali definendola una “variante naturale del comportamento umano”.
Da quel 17 maggio, ormai ricordato ogni anno dalla comunità LGBT, sono trascorsi 28 anni, e solo oggi l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo estenuanti richieste da parte della stessa comunità e l’immenso impegno di attivisti e attiviste trans, ha finalmente depennato la disforia di genere dai disordini mentali per essere inserita in un nuovo capitolo delle “condizioni di salute sessuale”. Una decisione che permette alle persone trans di avere comunque accesso agli adeguati trattamenti sanitari.
Tra queste tante persone trans.
Ovviamente ci poniamo in un traguardo che aiuterà molto la comunità trans a spogliarsi da uno stigma radicato che ancora costringe, non raramente, ai margini sociali. Fuori, dunque, da qualsiasi discrezionalità di professionisti, legate ad un obsoleta visione delle persone trans.
A questo straordinario traguardo sarà, oltretutto, dedicato il PompeiPride. Un momento in cui daremo prima e più di tutto voce all’agognata depatologizzazione della transessualità.
E a proposito della libertà che il PompeiPride darà particolare importanza al 19 giugno 2018, giorno in cui finalmente venne depatologizzata la disforia di genere.
Una vittoria che tocca profondamente l’intera comunità LGBT e che ci proietta sempre di più verso il diritto all’autodeterminazione.
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