Influenza Aviaria H5N1: l’allarme di Ilaria Capua
L'influenza aviaria H5N1 continua a preoccupare gli esperti: Ilaria Capua lancia l'allarme sui rischi di pandemia
Influenza Aviaria H5N1 – L’influenza sta mostrando segni preoccupanti di adattamento, mettendo in guardia esperti come Ilaria Capua, che avverte come il virus stia “bussando alla porta” dell’uomo.
Negli ultimi mesi, il virus ha subito mutazioni genetiche e ha saltato specie, infettando anche bovini e animali domestici.
Questo scenario ha sollevato crescenti preoccupazioni sulla possibilità che H5N1 possa evolversi in una variante capace di trasmettersi facilmente tra gli esseri umani.
Influenza Aviaria H5N1: il caso della ragazzina canadese
Un caso significativo è quello di una ragazzina canadese di 13 anni, che ha sviluppato una forma grave di H5N1. Questo ha richiesto trattamenti avanzati come l’ossigenazione extracorporea e dialisi continua. I trattamenti tempestivi sono stati fondamentali per salvarle la vita. Secondo gli esperti, la nuova variante D1.1 potrebbe essere più facilmente trasmissibile da uomo a uomo.
La diffusione del virus tra bovini e in prodotti come il pet food contaminato ha reso ancora più urgente la necessità di un intervento rapido. Ilaria Capua ha sottolineato come il latte crudo infetto e le infezioni nei gatti siano canali di trasmissione potenzialmente devastanti. La crescente incidenza di casi in animali domestici fa temere un possibile salto di specie che potrebbe aumentare il rischio per l’uomo.
Nonostante il rischio di trasmissione da uomo a uomo rimanga basso, ogni mutazione genetica rappresenta una minaccia. Ilaria Capua ha ribadito la necessità di una preparazione globale, con l’adozione di piani di produzione rapidi di vaccini e una sorveglianza epidemiologica più attenta.
Per prevenire una pandemia, è cruciale un intervento tempestivo e una gestione coordinata. Gli esperti avvertono che la collaborazione internazionale e la ricerca scientifica sono essenziali per limitare i contagi e proteggere la salute pubblica.
Fonti: New England Journal of Medicine e Corriere della Sera
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