Il mondo di Avirex e di Top Gun
Avirex è conosciuto dal grande pubblico per la sua presenza nel mondo del cinema e dello spettacolo dagli anni ’80
È atterrato a Napoli, dopo un lungo periodo di assenza. Con il suo stile inconfondibile, informale ma di classe, è finalmente tornato sul mercato partenopeo della moda. Si tratta del noto brand di abbigliamento da uomo Avirex. Conosciuto dal grande pubblico per la sua presenza nel mondo del cinema e dello spettacolo dagli anni ’80, anche perché ad indossare le giacche ed i giubbotti Avirex è quell’inossidabile bell’uomo di Tom Cruise nei “panni di Pete Mitchell, l’eroe di Top Gun, che ritroviamo, da qualche giorno, nelle sale cinematografiche per il debutto di Top Gun: Maverick. L’Azienda, difatti, è nota per la sua presenza sul grande schermo avendo creato nel 1986 la giacca da aviatore per il ruolo di Tom Cruise in “Top Gun”, il film su una leggendaria scuola di volo della Marina americana.
“La storia di Avirex nasce da una piccola fabbrica newyorkese dove venivano prodotte quantità limitate di giacche di pelle per l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica degli Stati Uniti” ci racconta la storia di Avirex “Grazie ad un avvocato dell’Arizona negli anni ’70 nasce il marchio Avirex, nome di provenienza latina, che apre la distribuzione, delle giacche da volo in pelle, al grande pubblico, con sedi oltre che in America, in Giappone ed in Europa.”
Un marchio che ha deciso di riapparire con il suo stile ricercato nelle vetrine napoletane del megastore COIN. La collezione di Avirex occupa uno spazio centrale ben in vista, nello store napoletano, dove si possono ammirare i due giubbotti cult della collezione TOP GUN ed i fantastici pantaloni e camicie realizzati in un cotone così soffice e sottile che al tatto appaiono leggeri come una piuma ma di qualità, molto resistenti. Un’ottima idea per riuscire a portare pantaloni lunghi anche nella torrida estate, in barba ai bermuda a tutti i costi. Anche l’uomo vuole la sua parte e così un cambio di tendenza riattiva la fantasia ed il piacere del vestirsi in modo sobrio ma informale, con un gusto internazionale.
Per la curiosità che ha stimolato la storia letta nel libro “Avirex King Of Aviation – History and origins of a great brand” scritto dal titolare dell’azienda Avirex Italia, ho chiesto direttamente a lui, il prof. Alfredo Cionti, alcune informazioni sul brand che ha fatto la storia della moda maschile degli anni ’80 e ’90 e che ha accompagnato i miei ricordi, che con entusiasmo rivivo.
Prof. Cionti, c’è tanta ricerca e creatività dietro un grande marchio. Questa ricerca storica ed il suo approccio permettono al suo marchio di rivivere parte della storia del costume maschile degli ultimi 75 anni e di rendere Avirex un’azienda peculiare, come ce la può narrare in sintesi?
Non provengo da una famiglia di industriali, né da una famiglia di stilisti ma di avvocati e nasco come insegnante di diritto industriale all’Università. Mi sono appassionato alla produzione di questo marchio perché potevo così studiarne la storia, l’uso; insomma guardarlo come una materia di studio, un lavoro che non fosse prettamente creativo. Potevo, così, ricostruire l’evoluzione di alcuni capi come il chinos, come le camicie militari, come i giubbotti di pelle e nylon etc. dando il mio approccio moda come lo avrebbe dato un ricercatore universitario e non uno stilista, perché non sono uno stilista.
Spesso, Avirex è associato all’aviazione militare anche a causa dell’accostamento a Top Gun, non crede che, invece, lo stile dell’azienda voglia “volare più in alto”?
L’esercito ha dovuto inserire il giubbotto di pelle per il valore simbolico e fortemente evocativo nei piloti perché ogni pilota aveva il suo giubbotto di pelle che è, quindi, diventato il simbolo del volo. Col tempo il giubbotto da aviatore non ha più avuto una funzione tecnica ma una funzione evocativa emozionale che prescinde completamente dall’aspetto militare. È sinonimo di pilota, sinonimo di volo, sinonimo di libertà. D’altronde Avirex dal latino Avi (uccello) Rex (re) evoca il desiderio dell’uomo d’innalzarsi in volo e dominare il territorio con lo sguardo di un volatile, oltre a voler accorciare le distanze territoriali.
Reduce dalla prima italiana di Top Gun, dove Paramount mi ha invitato a fare un breve discorso, l’unica cosa che mi è venuta da dire, non avendo in mente del perché l’immaginario collettivo si fosse impossessato dell’idea del giubbotto accostandola al personaggio del film, ho provato a raccontare alla platea dei presenti la storia che c’era dietro quel giubbotto. Tutto nasce dalla nose art, dall’arte dei piloti di dipingere il muso degli aerei e poi ridipingere sui giubbotti i segni di appartenenza di un equipaggio a quel veicolo. Poi un episodio di guerra fece sì che il Comando americano vietò quest’abitudine di dipingere i “nasi” degli aerei ed i giubbotti perché un equipaggio aveva scritto sul muso dell’aereo il titolo di un film che era “The murderers are among us”. Poiché l’aereo venne abbattuto in territorio tedesco, durante la seconda guerra mondiale, i nazisti usarono questo messaggio come propaganda contro gli americani diffondendo il messaggio che “persino gli americani stessi dicono di essere degli assassini”. I piloti sono sempre stati un po’ insubordinati e così non potendo dipingere incominciarono a cucire sui giubbotti i patch per continuare ad indentificarsi attraverso i segni. Quando 36 anni fa gli autori del film Top Gun vennero in azienda, per creare la storia, avevano in mente di creare il giubbotto del papà del protagonista. Un lavoro, pertanto più complesso, attraverso quattordici patch si creò la storia del papà e con altri tre la storia di Pete Mitchel. Ho provato a spiegare agli autori che l’uso dei patch non era frutto di fantasia ma era frutto di ricerca storica e che quei diciassette patch in realtà, per chi sapeva leggerli come i geroglifici sulle piramidi, rappresentavano la storia della famiglia del protagonista. Addirittura ho raccontato che c’era una piccola bandiera del Texas tra essi perché la famiglia Mitchel proveniva dal Texas, precisamente dalla contea di Maverick da cui prende il nomignolo il protagonista. Insomma tutto ciò per dire che dietro il marchio c’è tanto studio, c’è tanto amore e che spesso non traspare tutto questo lavoro e passione.
Il consumo veloce odierno, purtroppo, non permette di soffermarsi sul prodotto. Ogni stagione spazza via ciò che è stato nella precedente. I segni non restano, l’attenzione non permane. Quanto Avirex si accosta ad uno stile preciso e ad una funzione d’uso e quanto viene assolutisticamente accostato al film di Top Gun ed ai suoi racconti?
Il giubbotto di pelle, ed in nylon successivamente, nasce per una funzione d’uso specifica. I primi aviatori, appartenenti ai reparti, non erano altro che i nobiluomini provenienti dalla cavalleria e che passarono direttamente dal cavallo all’aeroplano. Difatti se osserva le foto dei pionieri dell’aviazione noterà che indossano ancora i pantaloni alla zuava che si usavano per andare a cavallo. E siccome faceva molto freddo sull’aereo, al contrario che a cavallo, si aveva bisogno di pantaloni lunghi (i chinos) e di colli e polsini di pelliccia e di lana sui giubbotti. Poi man mano che le tecnologie si sono evolute e gli aerei sono stati riscaldati all’interno, l’avvento del nylon ha assunto un’altra funzione. In ogni caso le esigenze dell’aviatore non erano legate per forza ad episodi militari o di guerra.
L’uso, poi, di questo stile, col tempo si è esteso al grande pubblico nello specifico alla platea degli intellettuali. Avirex segna, perciò, parte della storia del costume maschile negli ultimi settantacinque anni. Anche l’uso dei patch cuciti sui capi resta una forma di comunicazione.
Si sentirebbe di accostare questa forma di comunicazione attraverso i patch agli attuali segni dei tatuaggi contemporanei?
Certo, è un interessante accostamento. Segni di distinzione, ora come allora, molto attuali. Mostrano in entrambi i casi la storia personale e di appartenenza “indossati” oggi in modo diverso.
IL MONDO DI AVIREX E DI TOP GUN lo puoi trovare nelle Sale dei cinema e nello store COIN via Scarlatti Napoli.
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