“Dell’Intempestivo” di Michele Ranieri: incontro con l’autore
“Dell’Intempestivo” di Michele Ranieri: “Appunti e note sul ritardo, lo scarto, il postumo”. L’autore risponde alle nostre domande
“DELL’INTEMPESTIVO” DI MICHELE RANIERI- Il professore e scrittore Michele Ranieri insegna storia e filosofia al Liceo Classico Armando Diaz di Ottaviano, in provincia di Napoli. Studioso molto colto e appassionato, ha pubblicato articoli e saggi in varie riviste, tanto cartacee quanto online.
Il libro, fresco di stampa, dal titolo “Dell’Intempestivo. Appunti e note sul ritardo, lo scarto, il postumo”, è pubblicato da Disvelare Edizioni. Gli abbiamo posto domande in merito a questo lavoro che, partendo da una base densamente e propriamente filosofica, abbraccia poi la teologia, la letteratura classica e moderna-contemporanea, e tanto altro.
Questo è un testo di filosofia, e quindi richiede un certo impegno e attenzione nella lettura. Che significato dà al termine Intempestivo?
“Molto per sommi capi, possiamo dire che l’uso di questo termine è volutamente provocatorio. Poiché la nostra cultura ha ricevuto in eredità un grande tema presente nel pensiero greco antico, quello del tempo opportuno o debito per fare una cosa, eliminando tuttavia la dimensione critico-problematica che gli era propria e riducendolo alla fine a una sorta di tempistica e di efficacia nella vita pratica, ho cercato di recuperare la possibilità della dilazione, del ritardo giusto, dell’opportunità che può presentarsi anche quando tutto sembra compiuto”.
Questo significa che il ritardo, lungi dall’essere qualcosa di insensato e di inutile, può consentire nuove forme di attuazione e persino di realizzazione personale?
“In un certo senso si, anche se non si può eliminare dal ritardo la dilatazione dei tempi che gli è connaturata, la ripresa in tutt’altro modo delle possibilità che comunque l’esperienza del tempo comporta. Da questo punto di vista, proprio perché la nostra cultura tende a dequalificare e irridere uno scarto di questo tipo, a condannare il fallimento, il ritardo si pone invece come valorizzazione dello scarto e ripensamento della stessa idea di fallimento”.
Potrebbe chiarire questo punto relativo al fallimento?
“Nel testo cito un famoso passaggio del poeta romantico F. Hölderlin, nel quale si dice che l’agire umano (sia infatti chiaro che tutta l’argomentazione si riferisce all’agire morale) possiede una potenza di compiere e di fallire nello stesso momento, il che forse implica la inseparabilità dei due momenti. Questo significa che nessuna azione è puramente realizzativa, anche quella che è in apparenza più coronata dal successo. C’è sempre un’ombra, un minimo scarto che ne rappresenta la parte non riuscita, di cui probabilmente è consapevole soltanto colui che l’ha compiuta”.
La prima parte del libro è centrata su una rivisitazione di alcuni grandi temi del Cristianesimo, tra questi c’è anche la resurrezione del Cristo. Può brevemente chiarire in che modo lei la interpreta?
“Il discorso è piuttosto complesso. In breve, posso dire che considero la resurrezione soltanto come una immagine della vita postuma. Ossia il Cristo, morendo sulla croce, apre una nuova possibilità, per chi rimane, di rivivere i momenti fondamentali della sua esperienza storica e mondana, valorizzando quella presenza corporea che ha lasciato una traccia indelebile tra coloro che lo hanno amato. Il Cristianesimo è infatti la religione del possibile, in questo senso del tutto opposta all’idea tragica dei greci, secondo la quale è proprio la possibilità, tramite l’evento catastrofico ad essere sradicata dall’esperienza del tempo. Ovviamente io non credo nella resurrezione secondo il canone della fede, e per questo motivo tento di valorizzarne l’idea in chiave mondana”.
La seconda parte presenta una ricognizione di alcuni testi classici centrata sul recupero di questi temi, l’intempestivo, lo scarto, eccetera.
“Sì, attraverso riflessioni apparentemente disorganiche, ma in realtà sempre indirizzate al recupero degli stessi argomenti, utilizzo alcuni importanti testi greco-latini per riscontrarvi la presenza di stati d’animo e idee costitutivi della cultura occidentale. Per esempio, in Orazio c’è una straordinaria meditazione sull’idea di abbandono, che tra l’altro nella prima parte, dedicata al cristianesimo, torna continuamente alla ribalta proprio in riferimento alla dottrina e alla vita di Cristo. In generale vi sono spunti di straordinario interesse sul tema della grazia, un altro di quelli che, tornando continuamente nel libro, testimoniano la loro importanza per la mia riflessione”.
In ultimo un cenno alla sezione conclusiva del libro, quella più giocata sull’utilizzo della scrittura aforistica.
“Sì, è vero. La terza parte riassume l’intero testo proprio attraverso scorci riflessivi e aforistici. Probabilmente è in essa che viene in primo piano l’interesse evidente per una scrittura non accademica, tra l’altro situabile (ovviamente con le dovute distanze) in una nobile tradizione di pensiero, che va da Lichtenberg a Nietzsche, da Leopardi a Sgalambro. Vi sono infatti numerosi aforismi che riflettono direttamente sul senso della scrittura aforistica, in una sorta di mise en abyme che ha lo scopo di produrre, nello stesso tempo, curiosità e straniamento nella mente dell’eventuale lettore”.
Libro consigliatissimo, ricco di spunti per riflessioni su varie tematiche.
Ringraziamo l’autore per aver rilasciato questa intervista.
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