16 Settembre 2022

Clan della 167: un collaboratore racconta l’organigramma

Clan della 167: l'organigramma del clan della 167 raccontato da un collaboratore di giustizia, Pasquale Cristiano

ROMA

CLAN DELLA 167

CLAN DELLA 167-il collaboratore di giustizia Pasquale Cristiano, in base a quanto riportato dai colleghi di Cronache della Campania, ha rilasciato dettagliate dichiarazioni, utili a comprendere il ruolo di ogni membro del clan camorristico. “D’Aria Mario, detto marettiello. Era già presente nel 2014, si occupava di vendere droga per Mariano. Poi sono stati arrestati ed è stato ai domiciliari. Quando io ero in carcere è uscito ed è diventato uomo di fiducia di MONFREGOLO Mariano, gestendo il clan con lui”.

“Dopo la mia scarcerazione mi è venuto a salutare, ribadendo la fedeltà alla famiglia. Anche lui camminava armato ed ha partecipato a tante stese e all’agguato a ”o sceriff ”, ALTERIO Raffaele. So che ha avuto anche un ruolo nell’omicidio di mio cugino del quale riferirà. Anche lui si è allontanato con i MONFREGOLO. Voglio aggiungere che si occupava anche della piazza di spaccio di ABATE Davide, occupandosi di rifornirla su disposizione di Mariana”.

“Nel periodo della guerra tra Arzano,  Frattamaggiore e Frattaminore è stato spesso presente a casa di LANDOLFO Pasquale, detto o o’ scognato o o’coccodrillo e ha partecipato a diverse azioni e stese, Anche di questo riferirò nel dettaglio. CAIAZZA Antonio, alias cacasotto”.

“Uomo di fiducia di MONFREGOLO Mariano, spesso camminava armato e si occupava di estorsioni e vigilava la piazza di o tumor, dove era spesso presente e aveva un “appoggio” a casa della madre, un sistema che gli aveva fatto sempre ATTRICEA. Ha partecipato anche a qualche riunione Dopo la mia scarcerazione mi è venuto a trovare a casa con MONFREGOLO Mariano, a mc non piaceva perché lo ritenevo inaffidabile per come si era comportato durante la mia detenzione e Mariano garantì per lui”.

“Il mensile comunque glielo davo sempre io nei pochi mesi in cui sono testati ad Arzano. Poi si è allontanato con i MONFREGOLO. ha partecipato all’agguato di cui ho riferito prima con ALTERIO Raffaele, guidando il motorino, ha partecipato a numerose stese. LIGUORI Raffaele che si occupava di estorsioni, sia raccogliendo i soldi sia “bloccando le fatiche” Camminava armato. Confermo queste dichiarazioni e voglio specificare che era l’unico che non aveva una piazza di droga”.

“Quando è entrato nel clan, nel 2016, non aveva nulla e bloccava solo le fatiche, è stato detenuto e l’ho visto dopo la mia scarcerazione. Lo incontrava ad ogni udienza, lui stava a Poggioreale e io a Secondigliano, lui si lamentava per gli stipendi. Quando io ero libero ho tolto soldi dalle mie tasche per darli ai detenuti. I MONFREGOLO, invece, erano molto meno attenti. So che LIGUORI per un periodo a Poggioreale è stato con NAPOLEONE Renato e gli teneva il telefono e fu anche scoperto, non so cosa abbiano trovato sul telefono, NAPOLEONE face anche arrivare a Melito le lamentele del LIGUORI a me diede fastidio perché poteva rivolgersi a me”.

“LIGUORI prendeva solo 200 euro al mese e non volevano più darglieli, Non pagavano neppure più l’avvocato del “sistema” che ad un certo punto sembrava non volesse più difenderlo e durante un’udienza ci ho dovuto parlare io dicendogli che i soldi sarebbero arrivati”.

“Nel 2020 è stato scarcerato ed ha affiancato mio cugino PETRILLO Salvatore con PISCOPO Luigi. Dopo la morte di mio cugino è passato a Frattamaggiore con mio cognato MORMILE Vincenzo. MONFREGOLA Francesco. E’ sempre stato a disposizione dello zio Giuseppe dal 2015. All’inizio giocava a calcio. poi ha abbandonato. In particolare si occupava della raccolta delle somme di denaro dalla vittime delle estorsioni. Nel periodo della mia detenzione, oltre alla raccolta dei soldi delle estorsioni, si è occupato anche della raccolta dei soldi guadagnati dalle piazze di spaccio. Si occupava anche di vigilare il paese, facendo giri sia per verificare l’eventuale presenza di gruppi nemici sia l’apertura dei cantieri”.

“Si è occupato della latitanza di MONFREGOLO Giuseppe, nella casa di sua suocera, che di fatto era l’amante mantenuta da MONFREGOLO Giuseppe, e dove aveva un sistema. Della latitanza si è occupato tale Totore o frittin, che saprei riconoscere, che lo trasportava nel cofano nella macchina. Me lo ha raccontato lo stesso Giuseppe, perché dopo il suo arresto è stato un mese nella mia stessa sezione a Secondigliano. Ha partecipato alla stesa del novembre 2020 ed ha anche minacciato mia moglie con la pistola dopo l’omicidio di PETRILLO Salvatore‘ Loro fecero una stesa nel Rione e lui minacciò mia moglie, recandosi sotto il balcone di casa mia puntando la pistola nei confronti di mia moglie e mio figlio che erano affacciati e dicendo che dovevano andare via”.

“Io ho visto il video del momento in cui entrano in casa mia all’inizio del 2022 e, nonostante sia incappucciato, ho riconosciuto MONFREGOLA Francesco. A casa sua, a Via Napoli, in un vicolo in prossimità del bar MOSCATO, potete ritrovare i mobili di casa mia di cui si è impossessato, L’ho potuto notare in un tik tok che ho visto. Ho notato anche una lampada thailandese e la stanza da letto è fatta su misura dal falegname MONFREGOLA Raffaele, che è entrato intorno alla metà del 2015. Poco alla volta ha iniziato a mettersi al servizio fino a quando non è stato affiliato. All’inizio lo utilizzavamo per fare i furti a chi non voleva pagare le estorsioni. Io ero contrario perché in questo modo ci attiravamo le antipatie del paese”.

“Confermo questa dichiarazioni e voglio aggiungere che ha un amico a Sulmona: che si Chiama Mauro, originario di lì e che ha anche un bar, io non l’ho mai Visto e loro dicevano che aveva un giro importante, tanto è vero che la casa per i domiciliari a MONFREGOLO Giuseppe e anche per mio cugino Salvatore, l’ha procurata lui. MONFREGOLO Giuseppe, Si era anche fatto preparare una lavagna di ferro cognato fabbro, ATTRICE, per predisporre le dosi con maggior velocità. Si occupava anche del taglio dell’hashish insiemi ai fratello Giuseppe e Mariano. A casa sua si confezionava anche l’erba e nel sistema, del quale vi ho riferito, nascondevano i pacchi di sostanza stupefacente. A volte abbiamo fatto anche i conti dei soldi della droga e delle estorsioni. Io sono stato anche a trovare NAPOLEONE in comunità a Roma dove chiese di avere una calibro 38”.

Ha concluso dicendo: “Il cognato, Massimo, forse Alterio di cognome, mi portò l’imbasciata, io ho consegnato la pistola al cognato che gliela portò. Quando era in comunità in Calabria, io andai perché arrivò una sua lettera, molto pesante, in cui si lamentava che erano spariti dei soldi. All’epoca c’era ancora Savio Matuozzo. Né io né Giuseppe avevamo mai sottratto nulla, in realtà passavano per le mani di MATUOZZO Savio che gli faceva fare tutto un giro. Io cercai di spiegargli la cosa ma non gli interessava più. Matuozzo, proprio in quel periodo, fu ucciso in un agguato”.

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