4 Dicembre 2025

Caporalato moda Italia: 13 brand di lusso sotto indagine per sfruttamento

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Caporalato moda Italia

L’inchiesta sul caporalato nella moda in Italia, avviata dalla Procura di Milano, ha aperto uno squarcio su una realtà che per anni è rimasta ai margini del racconto pubblico.

Sono coinvolti tredici dei marchi più prestigiosi del lusso: Gucci, Prada, Dolce & Gabbana, Versace, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating.

L’obiettivo degli inquirenti è ricostruire il percorso dei capi di abbigliamento, verificare i livelli di subappalto. Tutto ciò serve a capire se le aziende del lusso utilizzano manodopera sfruttata per realizzare i propri prodotti.

Caporalato moda Italia: scoperta una rete di sfruttamento

La richiesta della Procura di accedere a bilanci, contratti, piani di audit e organigrammi aziendali nasce dai risultati delle ispezioni condotte nei mesi precedenti.

Le verifiche dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro hanno accertato 203 lavoratori sfruttati tra agosto e novembre. Si trattava di lavoratori migranti impiegati in condizioni gravissime, con turni estenuanti, salari minimi e totale assenza di sicurezza. Erano opifici gestiti spesso da imprenditori stranieri, dove dormitorio e posto di lavoro coincidevano. In questi posti il “made in Italy” si riduceva a un’etichetta applicata a un processo produttivo ben lontano dall’eccellenza che promette.

Caporalato moda Italia: la filiera opaca dietro le etichette del lusso

Ciò che emerge dall’inchiesta è una criticità strutturale. La moda di lusso si fonda su filiere estremamente frammentate, dove il brand affida la produzione a un fornitore, che a sua volta la subappalta, spesso senza che il committente finale sia davvero in grado — o disposto — a verificare chi realizza fisicamente il prodotto.

Questa complessità è stata più volte confermata da analisi europee sulle supply chain. Secondo i dati emersi, oltre l’ottanta per cento delle aziende è esposto al rischio di sfruttamento già al secondo livello di subfornitura. Questo significa che anche un marchio che controlla il proprio primo fornitore può comunque finire collegato, indirettamente, a laboratori irregolari che operano in condizioni di illegalità.

L’indagine milanese mostra chiaramente questa situazione. E cioè che borse, scarpe e accessori di lusso venivano prodotti in laboratori nascosti, dove l’obiettivo principale era ridurre i costi e accelerare la produzione. Di conseguenza, emerge il forte divario tra l’immagine dei brand e le reali condizioni di lavoro dietro i loro prodotti

Responsabilità e immagine: la prova più difficile per il settore

La Procura vuole capire se i marchi coinvolti abbiano esercitato una reale vigilanza sulla filiera oppure se si siano limitati a controlli formali, insufficienti a prevenire abusi. È un passaggio decisivo perché la responsabilità, in un sistema così articolato, non si limita al singolo laboratorio, ma riguarda la governance stessa del marchio.

Per il settore, l’impatto non è solo giuridico, ma anche reputazionale. Il lusso si basa sulla fiducia dei consumatori, sulla qualità percepita e sull’idea del “fatto bene e a mano”. Tuttavia, scoprire che un capo venduto a migliaia di euro è stato realizzato sfruttando lavoratori pagati pochi euro all’ora colpisce duramente e può mettere in crisi l’intera narrazione economica e culturale dei brand.

Il pubblico ministero Paolo Storari non punta al commissariamento immediato — come accaduto in passato per altre maison — ma ha concesso ai brand il tempo necessario per ristrutturare la filiera, ripulendo gli appalti e garantendo che ogni fase produttiva rientri nei limiti della legge. In caso contrario, la Procura avanzerà contestazioni più pesanti, compresa l’ipotesi di caporalato per i manager responsabili della supervisione.

Caporalato moda Italia: verso una nuova cultura della trasparenza

Se l’inchiesta porterà a standard più rigidi e controlli più efficaci, potrebbe rappresentare una svolta sia culturale sia giudiziaria. Infatti, il lusso non può più ignorare ciò che avviene dietro le quinte della produzione. Sostenibilità sociale e ambientale sono ormai requisiti imprescindibili.

Il caporalato nella moda in Italia è un tradimento dell’identità stessa del settore, dell’idea di qualità, cura e artigianalità che il made in Italy esporta nel mondo. Mettere fine a questo sistema significa proteggere non solo i lavoratori, ma il valore della moda italiana.

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