“Napoli, flashback di ammutinamento”, il film non autorizzato da ADL
Un'annata già vissuta, un remake dell'ammutinamento Ancelottiano. Il Napoli ha vissuto una stagione di flashback: dall'entusiasmo fino al tracollo al Maradona
Il Napoli sta affrontando una delle maggiori crisi della gestione De Laurentiis, al pari del famoso ammutinamento del 2019. Come quella volta, la Società non si è dimostrata in grado di sostituire i grandi condottieri del Napoli delle meraviglie.
Sarri all’epoca e Spalletti stavolta hanno stravolto la dimensione napoletana, portando gli azzurri prima a sfiorare e poi a conquistare il tanto agognato scudetto. Tanto più si arriva in alto, tanto maggiore è il tonfo al momento della caduta.
In entrambe le occasioni ADL non ha preparato alcun paracadute, dimostrando al contrario di non aver imparato nulla dal recente passato. Certamente, la competitività della squadra rispecchia le dinamiche interne del Club, ma quanto sono volubili i calciatori?
Due gruppi, due rivoluzioni ma la stessa involuzione
I Napoli di Spalletti e Sarri hanno avuto tanti aspetti in comune: la partenza da outsider, la maniacalità del proprio allenatore nella ricerca di un gioco bello ed efficace, la scoperta di talenti inattesi. E primo in assoluto il valore fondamentale del gruppo squadra. L’entusiasmo che aleggiava a Castel Volturno, durante le due annate più amate del calcio di De Laurentiis, è stato sempre la fonte principale del successo.
A conti fatti, lo Scudetto conquistato lo scorso campionato potrebbe considerarsi il coronamento di un lavoro cominciato da Sarri nel 2018 e completato da Spalletti. Lo scivolone nel mezzo, nel triennio Ancelotti-Gattuso, ha solo permesso di tornare in maniera più decisa ai dettami del palleggio ossessivo e curato, che ha permeato un 433 costituito da nuovi interpreti ma di pari qualità.
Il lavoro, la tenacia e anche un po’ di fortuna hanno permesso a Spalletti di portare all’ombra del Vesuvio un titolo atteso da oltre trent’anni. I due allenatori sono stati per il Napoli e per Napoli dei condottieri senza macchia, capaci di incantare grazie alla propria determinante leadership. Sarri e Spalletti sono stati rispettivamente l’elemento che ha spostato l’ago della bilancia a favore del Napoli in entrambe le annate.
Ma quando il sipario è calato su queste stagioni roboanti, l’entusiasmo è stato sempre cattivo consigliere. Probabilmente la scorsa estate la festa era ancora troppo assordante da non permettere a chi di dovere di sentire una sirena in lontananza. Una sirena che lasciava presagire un rinnovato tracollo, figlio dell’abbandono di un allenatore-padre per i giocatori. Ancora una volta, la sindrome dell’abbandono ha punito la Società, spingendo i calciatori in un remake: l’ammutinamento 2.0.
Segnali di fumo prima, segnali tangibili poi
Se durante la festa Scudetto sembrava impossibile ipotizzare un tracollo del gruppo fenomenale che aveva incantato l’Italia e l’Europa, è bastato aspettare l’inizio del calciomercato per percepire un’aria strana. Durante il ritiro più elettrizzante degli ultimi anni, il Napoli ha inanellato una serie di “due di picche” da allenatori e calciatori.
L’idea che gli azzurri fossero talmente bravi da poter essere allenati da chiunque è stato il primo grande errore della gestione 2023-24, che ha portato a scegliere Garcia come guida del nuovo corso. Le amichevoli e le prime gare di Campionato non hanno offerto lo spettacolo tanto atteso dai neo Campioni d’Italia.
Ciò che più lasciava dubbi era, però, l’insofferenza dei calciatori che nascondevano, dietro parole di fiducia verso il mister francese, gesti di stizza e di intolleranza. Ciononostante il gruppo sembrava compatto, unito contro il nemico identificato nell’allenatore. Una lotta conclusasi con l’esonero di Garcia, invocato dal popolo, inconsapevole che il peggio doveva ancora venire.
Nell’avvicendarsi degli allenatori, Mazzarri e Calzona, i risultati sono solo andati a peggiorare. I cambi in panchina non hanno generato alcuna scossa emotiva, anzi hanno distrutto ciò che rimaneva di un gruppo squadra speciale. Non bisogna andare troppo a ritroso per spolverare dei segnali chiari, inequivocabili della fine di un sogno durato poco più di una stagione.
Nella contesa Acerbi-Juan Jesus non c’è stato un giocatore del Napoli che abbia sostenuto il compagno offeso. Non si tratta di testimoniare in tribunale, ma di avvicinarsi con interesse durante il confronto con l’arbitro, come fatto dagli avversari Dimarco e Barella.
Ma se le lotte di ideologia non fanno per gli azzurri, tanto meno interessano le condizioni di salute di Ngonge accasciatosi dopo la pallonata alla nuca nel deserto del Maradona, senza alcun compagno a dargli sostegno.
La speranza di un sequel: Napoli, ritorno al futuro?
Cosa rimarrà dell’eroica squadra del terzo, indimenticabile, Scudetto? La debacle di questo campionato sembra suggerire una nuova-vecchia rivoluzione. Ciò che il Napoli ha già vissuto nel passaggio Sarri-Spalletti potrebbe ripetersi ancora una volta: cambi in dirigenza, cambi sulla panchina e in campo.
Ondata di gioventù in arrivo, se si confermano le voci che vogliono come nuovo DS Manna, autore del capitolo juventino Next Gen. Queste sono le idee che stuzzicano il presidente De Laurentiis, quindi le voci potrebbero essere quanto mai vere. Volti nuovi, bassi costi e alti rendimenti. Una squadra di tanti piccoli Kvaratskhelia, per scrollarsi di dosso la presunzione di aver vinto, l’onta di aver fallito dopo troppo poco.
Chi siederà sulla panchina del Napoli avrà il dovere di riportare l’umiltà nella testa dei giocatori e la voglia di combattere sul campo del Maradona. Non si tratta di vincere e basta: Napoli si è abituata negli anni a non essere la vincente, ma ha preteso in cambio solo di sudare la maglia.
Ti potrebbe interessare anche “ADL prepara la squadra per Conte?”
ARTICOLO PRECEDENTE
ARTICOLO SUCCESSIVO