Croce e le prime testimonianze sulla celebre leggenda del coccodrillo
E’ grazie agli scritti del filosofo e storico napoletano, Benedetto Croce, che si è potuto ricostruire l’iter di questa celebre leggenda che ha però anche un collegamento con la storia partenopea e con l’effettiva struttura del castello: nelle sue testimonianze si legge della presenza di una cella all’interno della quale venivano crudelmente gettati tutti quei prigionieri che andavano puniti severamente.
La stranezza? Tutti coloro che avevano messo piede in quella cella tenebrosa non sarebbero mai più stati avvistati, né vivi né morti. Sulla vicenda cominciarono a sollevarsi varie ipotesi, alcune anche particolarmente strambe: il mistero si risolse qualche tempo dopo, con l’avvistamento di un coccodrillo che afferrava con le fauci un prigioniero, poi divorato brutalmente sott’acqua.
Sul trasporto del coccodrillo in terra partenopea esistono due versioni ufficiali: la prima vuole che l’alligatore sia stato portato a Napoli dall’Egitto per volere della regina Giovanna II, moglie adultera di Giacomo di Borbone, che provvedeva a sbarazzarsi dei suoi amanti dandoli in pasto alla bestia.
Altri raccontano invece che il coccodrillo fu condotto dal re di Napoli, Ferrante d’Aragona, che gli diede in pasto numerosi Baroni protagonisti di una congiura ordita ai suoi danni: per evitare qualsivoglia accusa, il re pensò bene di gettare in pasto una coscia di cavallo all’alligatore, cui toccò una fine tutt’altro che dignitosa: morì infatti qualche minuto dopo per soffocamento.
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